Roma, 8 dic – Nei mesi scorsi è stata raggiunta l’intesa tra la Repubblica Islamica dell’Iran e le nazioni del “5+1” per l’alleggerimento delle sanzioni economiche e lo sviluppo dell’energia atomica per scopi civili che ha visto il Presidente degli Stati Uniti quale uno degli artefici principali di questo storico accordo.
Dopo quasi 40 anni di gelo tra Teheran e Washington sembrava inaugurarsi un nuovo corso della diplomazia internazionale a stelle e strisce, con non poche preoccupazioni da parte degli storici alleati degli Usa nell’area: Arabia Saudita e Israele.
In realtà le monarchie del Golfo e Tel Aviv possono contare su un’arma molto potente per impedire questo processo di disgelo: il Congresso americano.
I rappresentanti degli Stati che compongono il Senato e la Camera dei Rappresentanti avversano fortemente questo nuovo corso politico del Presidente Obama e non si tratta solo di partigianeria di partito: l’opposizione è bipartisan e vede molti rappresentanti democratici in prima fila in questa battaglia.
Sostenuti da diverse lobby più o meno formalmente registrate che sono la voce degli interessi sauditi e israeliani, alcuni senatori si stanno facendo alfieri del dissenso contro la politica presidenziale e il primo dicembre scorso hanno presentato al Congresso una risoluzione che recita: “E’ prerogativa del Congresso che gli Stati Uniti debbano supportare la decisione di ogni singolo Stato o governo locale che, per questioni morali, prudenziali o di reputazione distolga, o proibisca, dall’investire risorse dello Stato o del governo locale in personalità che sono coinvolte in attività economiche nel settore energetico iraniano finché l’Iran sia soggetto a sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti” ed inoltre esprime la possibilità del Congresso, cosa ancora più importante, di far valere il diritto degli Stati o amministrazioni locali di mantenere sanzioni economiche verso l’Iran stante il fatto che qualsiasi misura presa localmente in tal senso non è sottoposta all’autorità del Governo Federale.
Ad oggi trenta stati dell’Unione più il Distretto di Columbia, dove ha sede la capitale, hanno imposto le proprie sanzioni all’Iran e undici tra questi hanno messo in vigore leggi e provvedimenti per proibire che lo Stato e le amministrazioni locali aggiudichino appalti a imprese che fanno affari con l’Iran. Una sorta di embargo in miniatura se non fosse che tra gli Stati in questione ci siano nomi di peso come California, New York, Connecticut, Pennsylvania e Rhode Island.
Possono farlo? Sì.
La legislazione americana prevede che qualsiasi atto siglato dal Presidente degli Stati Uniti sia solo un “accordo dell’esecutivo” se non viene ratificato dal Congresso che ne decreta il passaggio a legge federale con maggioranza dei due terzi, e sino ad ora l’accordo sul termine delle sanzioni all’Iran e quindi sul nucleare non è ancora stato approvato dalle Camere, né mai lo sarà stante il fatto che è inviso ad una schiacciante maggioranza di rappresentanti sia democratici che repubblicani. Pertanto tale accordo è destinato a decadere se non rinnovato dal prossimo esecutivo, in quanto il Presidente Obama non può essere rieletto essendo al termine del suo secondo mandato (gennaio 2017), mentre i senatori, il cui mandato dura sei anni, possono essere rieletti un numero indefinito di volte.
Inoltre l’ordinamento statale americano, come abbiamo visto, permette che ciascuno stato membro dell’Unione si comporti un po’ come una piccola nazione indipendente dal punto di vista commerciale ed economico, arrivando quindi perfino ad indire proprie sanzioni verso paesi stranieri.
Di più.
I paesi stranieri possono fare pressioni su singoli Stati americani per veder accolte le loro istanze che poi saranno portate al Congresso anche in barba alla politica ufficiale del Presidente, come stanno facendo Israele e Arabia Saudita.
Insomma l’unione americana non è di certo “unitaria”, per usare un gioco di parole, del resto non è un caso che si stiano riscoprendo le radici confederate e che il governo centrale faccia di tutto per soffocarle.
L’Iran quindi, nonostante la vittoria in campo diplomatico, potrebbe ritrovarsi ad avere di nuovo uno scomodo ed influente nemico sulla via che conduce verso l’energia atomica e soprattutto sulla riapertura dei traffici commerciali con l’occidente, così importanti per Teheran come lo sono per l’Europa ed in particolare per l’Italia, che è sempre stata un partner privilegiato della Repubblica Islamica nel campo delle risorse energetiche.
Paolo Mauri
2 comments
Non si può regalare la bomba atomica, a dei pazzi furiosi come gli ayatollah iraniani.
L’Iran deve scrollarsi di dosso la dittatura della Sharia, ripristinare la Monarchia e avviare un percorso democratico e laico , interrotto nel 1979
sono d’accordo con giuseppe