Roma, 10 mag – Scordatevi l’avvincente ricostruzione di Peter Hopkirk, i diavoli stranieri sulla Via della Seta oggi non sono più romantici archeologi e coraggiosi esploratori. I diavoli odierni sono in giacca e cravatta, ma hanno poco a che fare con uomini d’affari dediti a cospirazioni finanziarie in grado di destabilizzare – quando non affossare – intere nazioni del globo, come nell’azzeccata serie Sky. Eppure, vuoi per l’evocativo nome scelto, vuoi per l’effettivo percorso pensato per apposito interscambio commerciale, gli occhi di chi osserva le mosse geostrategiche del futuro sono sempre puntati sulla Via della Seta, una nuova Via della Seta costellata di macchinazioni “diaboliche” che tendono a confondere i più. E’ qui che si inserisce il braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina, con l’Italia ancora incerta sul da farsi, se cioè rinnovare o meno il protocollo d’intesa con Pechino e l’adesione alla Belt and Road Initiative sancita nel 2019.
Via della Seta, l’Italia in mezzo alla sfida tra Usa e Cina
Negli ultimi giorni, sempre più assordanti rumors parlano di cambio di passo decisivo, con il governo italiano pronto a stracciare l’accordo con la Cina. Tutto nasce da una rivelazione di Bloomberg, datata 4 maggio, secondo cui Giorgia Meloni avrebbe detto allo speaker della Camera statunitense, Kevin McCarthy, che nonostante non sia stata ancora presa una decisione definitiva, l’Italia è favorevole a rompere l’intesa firmata dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da Movimento 5 Stelle e Lega. Promessa senz’altro dettata anche da pressioni americane, in atto ormai da quattro anni, frenata dal “controricatto” cinese. Sottile, astuto, comunque significativo. Prova ne sia quanto affermato dal portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, nel rispondere durante il briefing quotidiano a una domanda sulle indicazioni di stampa secondo cui il governo italiano sta ancora valutando se rinnovare entro fine anno il memorandum di adesione alla Nuova Via della Seta. Parole inequivocabili: Cina e Italia hanno accresciuto i loro rapporti con una “fruttuosa cooperazione ed entrambe le parti dovrebbero attingere ulteriormente alla cooperazione legata alla Nuova Via della Seta“. Traduzione lampo: il governo italiano non si azzardi a stracciare l’accordo.
All’interno di questo quadro, la posizione dell’Italia è tra due fuochi. Da un lato siamo un partner che la Cina considera strategico, considerato che la Nuova Via della Seta ha come approdo naturale il Mediterraneo. Dall’altro rischiamo di consegnarci, legati mani e piedi, a una nuova potenza. Di fatto un semplice “cambio di sponda”, non necessariamente positivo. Prima di Conte, fu l’allora primo ministro Gentiloni, durante l’OBOR summit – svoltosi a Pechino nel 2017 – a mettere le basi per una storica intesa che oggi viene affrontata con nuovi occhi, e diverse prospettive, dall’attuale governo.
Cosa prevede la Nuova Via della Seta e a cosa punta la Cina
Annunciata nel 2013, questa moderna Via della Seta prevede la realizzazione di investimenti per 2mila miliardi di dollari in tutti i Paesi interessati, lungo vari corridoi, sia terrestri che marittimi. Come già spiegato su questo giornale, l’obiettivo dichiarato è quello di migliorare i collegamenti fra la Cina e i mercati sia emergenti (come quelli africani) che già consolidati (l’Europa). L’Italia è direttamente coinvolta in questa iniziativa e dovrebbe offrire almeno un porto del Mediterraneo prima del transito delle merci verso il Nord Europa.
Partendo dallo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e logistica, la strategia cinese mira a promuovere il ruolo di Pechino nelle relazioni commerciali globali, favorendo i flussi di investimenti internazionali e gli sbocchi commerciali per le produzioni made in China. Primo motivo è il consolidarsi della posizione della Cina nello scacchiere globale con tutto ciò che ne consegue in termini di proiezione di forza, a partire dai vicini prossimi. Poi vi sono alcuni allarmi sull’economia cinese, che pur restando ad oggi fra le più dinamiche del mondo, sconta alcune problematiche di fondo. Complice la guerra dei dazi tra Washington e Pechino (ma non solo) il commercio globale è infatti entrato da qualche anno in una fase che possiamo chiamare, per non dire di forte rallentamento, quantomeno di «riflessione», il che si riverbera sulla bilancia commerciale della Cina che sta un po’ tirando il freno rispetto ai picchi che registrava solo qualche anno fa.
La Nuova Via della Seta sta diventando insomma una grande guerra commerciale tra due superpotenze, come un Grande Gioco del terzo millennio: rotta necessaria alla Cina, invisa agli Usa. Con l’Europa – e in primis proprio l’Italia – abbarbicata a tremolanti alberi in una terra di mezzo pregna di incertezze. Bicchiere mezzo vuoto: rischiamo molto a prescindere, qualunque decisione prenderemo. Bicchiere mezzo pieno: siamo ago della bilancia, in quanto tale necessario a entrambe le parti. Ribaltare la castrante percezione di impotenza dunque, possiamo muoverci oltre le pressioni e i ricatti, decidendo sulla base di ciò che riteniamo maggiormente proficuo per noi. Difficile, certo, tuttavia possibile e dirimente.
Eugenio Palazzini
1 commento
La questione vera sono i paesi terzi lungo “la via della seta”, non ancora del tutto collaboranti e servili come il capitalismo immondo dei gg. ns. vorrebbe. Il resto è sostanzialmente sceneggiata da parte di chi non vuole fare un bagno sugli investimenti promossi senza ancora aver venduto la pelle degli orsi.