Roma, 3 mar – Cosa ci faceva la Meloni da Modi? La percezione italiana dell’India cambiò d’un tratto con il caso Marò. Colpa nostra più che loro, perché fummo noi a non difendere a dovere i nostri fucilieri di marina, abbandonali per anni a un calvario giudiziario surreale. Masochismo dettato da esterofilia stolta e incapacità di pensarsi nazione, oltre qualsivoglia punto di vista personalissimo. Gravi errori che restano, esattamente come le ferite che non si rimarginano mai del tutto. Eppure le relazioni speciali tra Italia e India affondano le radici negli albori imperiali, a partire dal termine latino stesso, derivante dal sanscrito Sindhu, “fiume, flusso”.
Radici e intuizioni
Tutto scorre e torna, come la visita di Gandhi a Roma, ben prima dell’indipendenza indiana dalla corona britannica, come l’incontro tra l’indimenticabile Tucci e Tagore, antipasto di Ismeo, suggestioni orientaliste e gentiliane. Genialità tutta romana, inviare uno studioso sopraffino da un poeta sublime per instaurare rapporti diplomatici e scardinare il giogo albionico. Chiedersi oggi cosa ci è andata a fare Giorgia Meloni in India ha senso solo se partiamo da questa consapevolezza, l’andare oltre l’immagine geopolitica che superficialmente costruiscono i media distratti.
Perché Delhi resterà sempre sospesa tra i presunti blocchi che dividono il mondo, pensandosi civiltà prima di potenza. Allorché quest’ultima prende corpo in virtù di neutralità mai abdicata. Si veda la guerra in Ucraina. Di qui due accordi in apparenza minori firmati dal premier italiano con il discusso, spesso a sproposito, primo ministro indiano Narendra Modi. Il primo tra l’Università Rabindra Bharti di Kolkata e il Consolato generale di Kolkata, il secondo tra l’indiano Moraraji Desai Institute of Yoga, del ministero dell’Ayush (acronimo che racchiude le pratiche di medicina tradizionale hindu), e la scuola italiana Sarva Yoga.
Meloni in India: gli accordi strategici
Ma andiamo oltre la profondità culturale e veniamo agli accordi strategici siglati. Il premier italiano si è recato in India con un obiettivo manifesto: rafforzare i rapporti bilaterali e potenziare il ruolo italiano nel subcontinente e nell’area dell’Indo-Pacifico. L’India è oggi la quinta potenza economica mondiale, ma nel 2029, se dovesse mantenere questi tassi di crescita, potrebbe diventare addirittura la terza, dietro solo a Stati Uniti e Cina. Premessa essenziale per comprendere l’importanza dell’incontro tra Meloni e Modi dopo dieci anni di gelo diplomatico.
In un documento congiunto, pubblicato dal ministero degli Esteri indiano dopo il vertice di ieri, si legge che i due leader politici accolgono “con favore il costante approfondimento della cooperazione in materia di difesa tra i due Paesi negli ultimi due anni, sottolineando la necessità di rafforzare ulteriormente l’impegno reciproco in questo campo attraverso la conclusione di un Mou (Memorandum of understanding, ndr) sulla cooperazione” in tale ambito.
L’Italia ha annunciato l’adesione alla Indo-Pacifica Oceans Initiative, fondata per “abbracciare il continuum sicurezza-sviluppo-costruzione delle capacità” attraverso sette pilastri: sicurezza marittima; ecologia marittima; risorse marittime; rafforzamento delle capacità e condivisione delle risorse; riduzione e gestione del rischio di catastrofi; cooperazione scientifica, tecnologica e accademica (è qui che l’Italia dovrebbe assumere una posizione chiave); commercio, connettività e trasporto marittimo. Annunciato inoltre l’avvio del programma India-Italy startup Bridge.
E ancora: accordi commerciali e sulla difesa. In India sono presenti 600 aziende italiane, destinate ad aumentare nei prossimi anni. Nell’apposito programma, ancora da sviluppare nel dettaglio, ci sono esercitazioni militari congiunte fra esercito italiano ed esercito indiano, nonché un piano da sviluppare sulla specifica richiesta di Delhi: “addestrate” i nostro corpi scelti. E non è un caso che agli incontri tra Italia e India partecipino aziende italiane tra le più importanti. Tra queste: Eni, Piaggio Leonardo, Fincantieri, India. Primi due accordi già siglati: tra Enel e Tata Power. Per l’Italia non c’è solo il Piano Mattei.
Eugenio Palazzini