Roma, 18 gen – Se ad un inglese viene chiesto con cosa confini il Regno Unito egli risponderà “con tutto il mondo”, non per mondialismo, ma perché hanno da sempre capito l’importanza dei “confini” marittimi nel quadro della prosperità e sicurezza della loro nazione. L’Italia, Paese proteso nel Mediterraneo crocevia tra il nord ed il sud del mondo così come tra est ed ovest grazie ai traffici marittimi che lo attraversano, ha riservato, nel corso della sua storia, alterne attenzioni ai suoi limes sul mare. In quest’ottica la Libia (ma anche la Tunisia) è sempre stata al centro delle attenzioni geopolitiche della classe dirigente sin dal 1912, proprio grazie alla sua posizione geografica situata a poche miglia dalle nostre coste.
Tralasciando l’avventura coloniale terminata bruscamente al termine della Seconda Guerra Mondiale, e nonostante il decolonialismo abbastanza violento voluto da Gheddafi, sebbene completamente diverso rispetto a quanto accaduto per altre potenze coloniali invischiate in veri e propri conflitti generati da questo fenomeno, l’Italia ha sempre avuto un rapporto privilegiato con Tripoli, anche nei momenti più difficili in cui si è andati ad un passo dal conflitto armato (ricordate i missili sparati su Lampedusa?). Questo rapporto privilegiato, molto spesso anche di tipo personalistico, è cessato bruscamente nel 2011, quando la Francia, coadiuvata da Inghilterra e Usa, decise unilateralmente di porre fine al regime di Gheddafi anche con il sostegno del nostro Paese, che, dalla sera alla mattina, passò da amico del Colonnello a traditore. Non propriamente una scelta oculata, e nemmeno a posteriori, dato che i nostri interessi in Libia erano ben chiari al Governo, e dato che era facilmente intuibile che la mossa francese era volta appunto a scalzare questa sorta di canale privilegiato che l’Italia aveva con la Libia e con le sue risorse. Operazione oggi perfettamente riuscita.
Come sappiamo il conflitto per rovesciare Gheddafi ha dato spazio di azione al Califfato, che, anche grazie all’appoggio indiretto americano e delle solite petromonarchie del Golfo, si è inserito nel contesto tribale libico. Così è andato crescendo quel tumore di radicalismo islamico che da qualche anno quegli stessi Paesi fautori della caduta del Colonnello stanno cercando a fatica di estirpare, anche grazie alla frammentazione, dovuta all’ordinamento fondamentalmente tribale della nazione, del fronte anti-Gheddafi. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso verrebbe da dire. Così arriviamo al dicembre del 2015, quando, dal nulla, viene nominato un Governo di Unità Nazionale sotto la guida di Faiz al-Siraj, personaggio inviso agli altri uomini forti che vedremo protagonisti più avanti. Un Governo di Unità che quindi non rappresenta nessuna unità della nazione, voluto fortemente dall’Onu, Ue e dall’amministrazione americana del tempo, con il totale appoggio dell’Italia grazie soprattutto all’allora Ministro degli Esteri Gentiloni.
Questa decisione non ha fatto altro che radicalizzare i fronti opposti, unitì sì nella lotta all’Isis, ma invisi gli uni agli altri. Ad est, infatti, ha preso sempre più corpo il Governo del Generale Haftar, l’uomo forte di Tobruk, sostenuto da Egitto, Francia e Inghilterra che non riconosce l’autorità del Governo al-Siraj; a Misurata invece sono attive le milizie fedeli ad un altro attore, al-Ghawil, l’ex Presidente che ha l’appoggio del Gran Muftì al-Ghariani e dei Fratelli Musulmani, anch’egli non allineato nel riconoscere l’autorità di Tripoli. Autorità che, a ben vedere, non è che fittizia, come il recente tentato golpe ha messo in luce ma soprattutto considerando che al-Siraj de facto controlla solo una parte della città, quella più vicina al porto. L’Italia quindi, ancora una volta, ha scelto la parte sbagliata e, come sempre accade, lo sta facendo molto bene: oltre alla missione Ippocrate, messa proprio nel mezzo delle milizie di al-Ghawil a Misurata che non sta raccogliendo consensi da parte della popolazione, anche dal fronte di Tobruk gli italiani vengono visti come degli “usurpatori” proprio a causa del pieno appoggio che il nostro Paese sta dando ad al-Siraj.
A Misurata, infatti, emerge una crescente sfiducia, per non dire ostilità nei confronti della nostra presenza militare e in parte anche civile. Molti sostengono che l’ospedale militare italiano non è di supporto alla popolazione ma si occupa prevalentemente dei miliziani feriti e dei loro familiari, definendo come “farsa” e “truffa” la presenza del nostro contingente nella città. Haftar invece ha dichiarato direttamente che non accetta l’aiuto italiano e che il nostro Paese sta effettuando una nuova politica coloniale, quindi l’Italia deve andarsene da Tripoli e da Misurata. Il Generale ha potuto lanciare certe invettive contro il nostro Paese anche grazie alla situazione caotica in cui si trova l’ovest del Paese e grazie ai legami che sta intrecciando con Mosca: è notizia recente della visita lampo a bordo della portaerei Kuznetsov e della volontà di Haftar di richiedere un aiuto russo per la risoluzione del conflitto. In cambio il Generale avrebbe promesso alla Russia una base navale a Tobruk, che permetterebbe a Putin di recuperare il terreno perso con la caduta di Gheddafi, storico amico di Mosca. Le milizie di Haftar infatti riceveranno 2 miliardi di dollari in armi russe come ha rivelato il sito elgornal.net citando fonti diplomatiche arabe ed agenzie libiche, e la notizia è stata confermata da Ismail al-Gul, parlamentare dell’Assemblea dei deputati di Tobruk.
Questa nuova alleanza tra Mosca e Tobruk rappresenta la parola fine sulla sorte del Governo di Unità Nazionale e quindi anche sulla nostra influenza in Libia: già sono a rischio, infatti, gli accordi discussi nei giorni scorsi a Tripoli dal ministro degli Interni Minniti per bloccare i traffici di immigrati illegali che attualmente rappresentano la metà del Pil della Tripolitania. Influenza destinata a cessare anche in considerazione del fatto che il nuovo esecutivo alla Casa Bianca ha definito la Libia “un problema europeo” stabilendo la volontà di defilarsi dalla questione: un’abile mossa di Trump per dissanguare Francia e Italia nel sostegno delle rispettive parti, e per assegnare alla Russia il nuovo ruolo di “gendarme del Medio Oriente” che avrà come risultato la messa in disparte di questa Europa che non è capace di essere unità nemmeno in politica estera, soprattutto grazie alla Francia che in questi anni ha ampiamente dimostrato di perseguire inopinatamente i propri interessi appoggiando Haftar con le proprie forze speciali e con i propri cacciabombardieri, che, da fonti di intelligence, non sempre hanno sganciato il proprio carico sulle milizie dell’Isis. Un finale tragicomico quello della nostra presenza in Libia, causato dalla miopia di un governo di sinistra che, abbagliato dalla stampa sempre prona agli interessi dei “Dem” di mezzo mondo, non ha saputo prevedere il cambio di gestione della Casa Bianca ed il conseguente cambio di direzione di Washington in politica estera; eppure i segnali per poter fare delle analisi corrette e agire di conseguenza c’erano tutti, ma quando si è slegati dalla realtà è facilissimo perderseli.
Paolo Mauri
4 comments
Possiamo girarla come vogliamo nel 1947 abbiamo firmato che mai piu’ dovevamo dir parola sulla Libia ….
Andatevi a rileggere tutti i punti , e poi capiremo meglio il perche’ siamo a questo punto
Su quel trattato, a cui dobbiamo ringraziare i traditori, disse tutto a suo tempo Benedetto Croce.
L’ Italia, sin dai tempi della sua riunificazione nel 1861, ha sempre dimostrato scarsa propensione tanto alla “realpolitik”, quanto alla politica estera in senso stretto.
Dai tempi del ministro Cairoli (e dalla sua idealistica, ma anche estremamente ingenua politica delle “Mani Pulite”) ad oggi, direi che nulla è cambiato, se non in peggio; adesso infatti, si aggiungono a completare il quadro l’ asservimento (ed il servilismo) verso gli Stati Uniti, verso la Nato, verso l’ Unione Europea. Sempre, e costantemente, contro i nostri stessi interessi.