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Per farla finita con l’apologia di Henry Kissinger

by Eugenio Palazzini
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henry kissinger, usa

Ieri Henry Kissinger ha spento 100 candeline. E come previsto (sin troppo facilmente) su questo giornale, sui media italiani era tutta una sviolinata. Riproponiamo ai lettori il pezzo pubblicato il 12 maggio scorso sul Primato Nazionale, perché in certi casi “repetita iuvant” [IPN]

Roma, 12 mag – Tra quindici giorni Henry Kissinger compirà 100 anni. Preparatevi, sul grande stratega americano, l’uomo che sussurra(va) alla Casa Bianca, il segretario di Stato che segnò la politica estera statunitense degli anni Settanta (e non solo), il prossimo 27 maggio leggerete pezzi apologetici sulla gran parte dei quotidiani italiani. Da sagace preconizzatore, a rifilarci la prima sviolinata ci ha pensato il fresco direttore de Il Riformista, quel Matteo Renzi da Rignano sull’Arno che da qualche anno prova a giocarsi la carta di esperto di relazioni internazionali. Il Renzi d’Arabia ha così tirato fuori un editoriale dal titolo meravigliosamente antinomico, se ci atteniamo ai suoi istinti primigeni: Kissinger, alla faccia della rottamazione: a 99 anni è giovane perché capisce il futuro. Già rottamatore, nuovo perculatore di rottamatori, l’ex premier si è dato d’un tratto alle sufiche piroette. Ed è tutta un’esaltazione dell’immarcescibile Kissinger: “In un mondo di grigi burocrati Kissinger è il Machiavelli di cui avrebbe bisogno il mondo. Se lo leggete con attenzione capirete perché è ancora giovane”. Memorie di Henry, da proporre ad aspiranti Yourcenar.

Henry Kissinger? No, grazie

Ora, potremmo ricordare ai folgorati sulla via del grande saggio Stars & Stripes, le accuse che un tempo non troppo lontano lanciavano senza indugio. A partire dalla sinistra italiana che lo considerava un “serpente” che sostenne il regime di Videla e più in generale tutti quei generalissimi sudamericani funzionali al mantenimento del cortile di casa Usa. “Un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio”, come lo definì l’allora compagna d’assalto Oriana Fallaci. Acqua passata, vecchie scorie, si dirà. Vero, quantomeno in parte. Perché a sconcertare è chi abbocca oggi all’amo del Grande Vecchio, idolatrato per la sua astuta pacatezza nell’approccio alla Russia, la sua cautela con Taiwan e allo stesso tempo l’indomito spirito da tutore dell’ordine occidentale, confuso dai più con l’interesse europeo.

Kissinger, colui che impose una politica estera di totale realismo, proprio per questo ha da sempre messo da parte ogni principio ideologico e moralista, puntando esclusivamente alla tutela degli interessi Usa. E’ qui dunque che sussiste un errore di fondo nel ribaltare il giudizio sulla sua figura, fungo allucinogeno masticato dall’analista distratto: credere che Henry Kissinger sia il volto angelico degli Stati Uniti, generoso portatore di buoni consigli per l’Europa, in quanto tali preferibili al presunto unilateralismo radicale del novecentesco rivale Zbigniew Brzezinski. Evitare gli abbagli, please. Per entrambi i grandi strateghi americani, mettere all’angolo l’Europa, renderla ininfluente e dunque controllabile, è sempre stato imprescindibile. E’ sul come mantenere saldo il vassallaggio che continuano a scontrarsi le due “anime sagge” dell’America.

Per Kissinger serve un’intesa russo-americana, l’ha invocata subito dopo il crollo dell’Urss, rinvigorita ai tempi di Eltsin e rinnovata senza troppi distinguo con Putin. Per gli allievi di Brzezinski, scomparso sei anni fa, il dominio Usa sulla “grande scacchiera” deve essere mantenuto contrapponendosi frontalmente alla Russia, rafforzando in un sistema asimettrico la collaborazione con gli altri giocatori che procedono a traino di Washington. Metodologie diverse, stesso obiettivo. La politica estera americana, in questo senso, non ha mai davvero partorito una terza linea “europeista”, fatta eccezione per qualche fugace intuizione comparsa su Foreign Policy. E non ci riferiamo certo a quelle del suo cofondatore Samuel Huntington, incappato come noto in una semplicistica – quanto manichea – lettura delle dinamiche globali. Salvate il soldato Renzi, prima che venga imitato tra quindici giorni da pappagalli smemorati.

Eugenio Palazzini

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3 comments

Evar 12 Maggio 2023 - 4:16

Renzi non ha tutti i torti. Kissinger era un gran SOB, ma un SOB coi controcazzi.

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Germano 28 Maggio 2023 - 6:17

Kissinger ? Il padre di tutte le dittature latinoamericane negli anni ’70, fino a quando non fu più utile per loro dominare quel continente affamando i sudamericani come schiavi. È un altro anello della catena che impicca l’umanità, prima di tutto è un ebreo e come ebreo l’unica cosa che conta sono gli ebrei. Il piano è sempre lo stesso dal 1948, dominare l’umanità, dividere e governare. Schiavizzare il no ebreo. Di quel pagliaccio di Renzi non vale la pena di parlare nemmeno seduti sul cesso.

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Marcello Cerruti 29 Maggio 2023 - 10:45

Per come la vedo io se un avversario politico dice una cosa giusta o anche semplicemente “utile” la si può, anzi, la si deve usare. Esempi classici, per me, sono frasi di Marx e Lenin come: “[…] tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte […] la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa” (Marx) e “I capitalisti ci venderanno la corda con la quale li impiccheremo” (efficacissima metafora attribuita a Lenin).
Quindi se il “mostro di Rignano”, per la legge dei grandi numeri, dice una cosa giusta, sia pur col suo insopportabile linguaggio, a me va bene così.
Io sono classe 1961 e ben ricordo alcuni fatti:
1) L’apertura nel 1971 a una Cina, ancora dilaniata da scontri politici interni, è stata una genialata pura e semplice, ben ricordo “la politica del Ping Pong”… Lo scenario geopolitico che si prospettava era favorire uno scontro tra le due grandi superpotenze atomiche comuniste. Circa un anno prima era stato pubblicato un saggio utopico del dissidente sovietico Andrei Amalrik “Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984 ?” in cui si ipotizzava una dissoluzione dell’URSS in seguito a una guerra contro la Cina;
2) Il disimpegno dal Vietnam è stato una liberazione dal pantano in cui il nefasto presidente papista e Dem, John Fitzgerald Kennedy, aveva infilato gli USA, facendoli scontrare con il Tonchino: la “Prussia” dell’Indocina che da oltre mille anni resiste efficacissimamente al terribile e soverchiante vicino cinese;
3) Cito dall’articolo: “Kissinger, colui che impose una politica estera di totale realismo, proprio per questo ha da sempre messo da parte ogni principio ideologico e moralista, puntando esclusivamente alla tutela degli interessi Usa”. Per me questo si chiama patriottismo, difesa dell’interesse nazionale da parte di Heinz Kissinger che a vent’anni è diventato un fedele cittadino americano, così come alcuni oriundi (Atilio Demaría, Anfilogino Guarisi, Luis Monti e Michele Andreolo) campioni del Mondo ai mondiali del 1934 e 1938. Non si può chiedere a Kissinger, cittadino americano, di favorire l'”europeismo” di un Europa che non esiste, se non negli ideali, o dell’Italia: sarebbe un traditore della sua Patria. Kissinger è stato un grande stratega che ha fatto errori come tutti gli uomini, tuttavia limitandomi ai Segretari di Stato USA recenti: Colin Powell, Condoleezza Rice, Hillary Clinton e John Kerry, Kissinger risulta un gigante politico, culturale, intellettuale e un campione della pace;
4) Ben ricordo l’Oriana Fallaci pre fulminazione sulla “via di Damasco”. Giocava a fare “l’anima bella” e la sua definizione di Kissinger, citata nell’articolo, “un’anguilla più ghiacciata del ghiaccio” mi sembra molto bella e rassicurante per un diplomatico, soprattutto se il suo leader ha in mano il “pulsante nucleare”;
5) Last but not least (in ultimo ma non meno importante) tra Allende e Pinochet scelgo, senza esitazioni Pinochet, ed è stato Henry Kissinger a favorire l’ascesa al potere di Augusto Pinochet e la relativa salvezza del Cile.

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