Parigi, 8 gen – Facciamo un passo indietro di dieci anni. Siamo nel quartiere Curial-Cambrai, nel XIX arrondissement di Parigi, fra gli enormi palazzoni delle Hlm, le Habitation à loyer modéré, cioè le case popolari francesi. Da due anni gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra all’Iraq e nelle banlieue transalpine ormai abitate da soli arabi, la rabbia cresce. Fra i più incazzati ci sono Chérif Kouachi, 24 anni, e suo fratello Said, di due anni più giovane.
I due si trovano in una caserma. La polizia, infatti, li sta interrogando a proposito della cosiddetta “filiera jihadista di Buttes-Chaumont”. Said viene presto rilasciato. Chérif no. Gli inquirenti credono che sia in procinto di volare verso la Siria per raggiungere illegalmente l’Iraq, dove andare a combattere. Tra i suoi documenti trovano infatti un biglietto per Damasco e istruzioni per l’uso di un kalashnikov.
Come è giunto questo ragazzo sull’orlo della guerra santa?
Orfani dei genitori, emigrati anni prima dall’Algeria, Said e Chérif hanno vissuto per anni da “musulmani occasionali” (come si è definito in passato il più grande). Come tanti suoi coetanei delle banlieue, Chérif vive una vita da sbandato. Per lavoro consegna pizze e lo stipendio lo spende tutto in hashish, magari arrotondando con qualche furtarello.
Un perdente, insomma, uno sradicato, uno senza arte né parte. Il tipo ideale per essere reclutato dalla jihad metropolitana. Basta che all’orizzonte si stagli una personalità forte che possa dare un senso alla sua vita a perdere. Quest’uomo è Farid Benyettou, anche lui 24enne, autoproclamatosi imam di periferia nella moschea Adda’wa, nel quartiere Stalingrad, a sua volta formatosi alla scuola del cugino, Youcef Zemouri, islamista cacciato dalla Francia nel 2004.
Tra gli spiantati delle periferie, il suo sguardo da lunatico e le sue invettive radicali fanno proseliti. Almeno una cinquantina di ragazzotti si convertono all’islam. Tra loro Cherif Kouachi. Il santone di periferia esorta alla guerra santa in Iraq, tant’è che il suo gruppo vanta già tre militanti morti in battaglia, due detenuti in Iraq e uno in Siria. La sentenza, per Chérif, arriva nel 2008: condanna a tre anni, peraltro già coperta dalla carcerazione preventiva nel corso della quale il ragazzo ha fatto palestra e si è chiuso nel suo mutismo.
Dopo la scarcerazione, Chérif, che ora si fa chiamare “Abou Issen”, fa perdere le sue tracce, anche se ricompare in varie inchieste sull’islamismo di questi anni. Non è chiaro se davvero lui e suo fratello, come viene affermato in vari articoli, siano reduci della guerra in Siria, da cui sarebbero tornati questa estate. Ancora giallo, invece, sul terzo componente della banda, Amid Mourad. Il cognome è comunque legato alla famiglia Kouachi: sarebbe lo stesso della moglie di Chérif.
Giorgio Nigra