Canberra, 11 mar – Sta facendo molto discutere la proposta di legge di Mark Latham, esponente di One Nation, partito politico della destra australiana. Latham ha infatti proposto di rendere obbligatorio il test del Dna per tutti coloro che affermano di essere aborigeni. La proposta di legge nasce dalla necessità di evitare possibili frodi. «Tutti odiano i truffatori del welfare, specialmente in questioni che riguardano gli aborigeni», ha dichiarato Latham. Che spiega: «Gli australiani sono stufi di vedere persone con i capelli biondi e gli occhi azzurri che si auto-identificano come indigeni, quando chiaramente non hanno un background aborigeno riconoscibile e lo fanno solo per questioni di denaro».
Test del Dna contro le truffe
Di qui la proposta dell’esponente di One Nation, ossia il varo di una legge che renda obbligatorio un test del Dna per ogni aborigeno (vero o presunto). La precondizione per ottenere lo status di indigeno australiano sarebbe di avere almeno un nonno aborigeno purosangue (full-blood). In tal modo – questa la tesi di Latham – si metterebbe fine a un sistema in cui gli australiani possono auto-identificarsi come indigeni. Questo status, infatti, comporta numerosi vantaggi per quanto riguarda l’accesso a fondi dello Stato sociale e ad agevolazioni fiscali.
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L’accusa di razzismo
Pronta la reazione dei verdi australiani, che hanno bollato la proposta di legge come «sfacciatamente razzista». Ma Latham rispedisce le accuse al mittente: «Il sistema di auto-identificazione indigena, che per permette di dichiararsi aborigeno senza alcuna traccia di sangue o di Dna che lo comprovi, ha portato ad abusi diffusi». E poi incalza i suoi avversari politici: «Qualsiasi spreco di denaro dei contribuenti in questo settore è peraltro altamente irrispettoso nei confronti dei veri indigeni. Indebolisce l’integrità del loro gruppo razziale e sottrae denaro alle persone che ne hanno realmente bisogno. Ed è sorprendente che laburisti e verdi, che fingono di rispettare gli aborigeni, non abbiano già introdotto questa legge».
Elena Sempione