Roma, 24 feb — Le conseguenze dell’invasione Russa in Ucraina stanno per abbattersi sul prezzo degli alimenti alla base della piramide alimentare italiana e non solo: a farne le spese sarà principalmente l’esportazione dei principali cereali — grano, mais e soia — e tutto l’indotto di prodotti derivati da tali coltivazioni: pane, pasta, farine e oli, alimenti su cui è basata la sopravvivenza alimentare delle popolazioni occidentali e il cui consumo — è particolarmente vero nei confronti della pasta — in questi due anni di restrizioni legate alla pandemia è raddoppiato rispetto a quello di dieci anni fa.
Esportazioni di grano e mais: un contraccolpo durissimo
C’è da aspettarsi quindi un contraccolpo durissimo, perché secondo le stime del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), la Russia rimane ad oggi il più grande esportatore di grano al mondo, seguita al quarto posto dall’Ucraina: assieme detengono il 29% del commercio globale di grano, il 20% delle esportazioni di mais e l’80% delle esportazioni di olio di girasole. Brutte notizie anche per gli importatori di olio di girasole, di cui l’Ucraina è il primo esportatore, seguita dalla Russia.
L’escalation della tensione sul fronte ucraino delle settimane scorse aveva già concorso all’aumento dei prezzi delle derrate: aumento che si era riverberato, seppur minimamente, sul costo del pane, della farina e della pasta, ed è destinato ad aumentare nuovamente, stavolta in maniera più drammatica. A ciò ha contribuito anche l’aumento dei costi dell’energia utilizzata per la produzione, l’imballaggio, il trasporto e la vendita al dettaglia.
Mais e soia schizzano alle stelle
A cascata, l’aumento del mais — di cui l’Ucraina esporta il 22% del totale mondiale — ha influito sul prezzo della soia, che riguarda gli stessi terreni di coltivazione del granoturco: e con la siccità in Sud America — principale area di coltivazione del legume — le scorte si stanno riducendo rapidamente. Morale della favola, il costo del mais con consegna a marzo è aumentato negli ultimi giorni di quasi il 3% e il grano di quasi il 6%, a cui va sommato il rincaro causato dalla pandemia: il grano e il mais sono attualmente al 22 e al 18% al di sopra dei loro prezzi rispetto allo questo periodo dell’anno scorso.
A questo si potrebbe aggiungere il malaugurato scenario in cui, in caso di prosecuzione del conflitto, la Russia bloccasse il porto di Odessa, con il conseguente stop della maggior parte delle esportazioni via mare.
Grano: la situazione in Italia
Cosa succederebbe in Italia? Dai dati di Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia, emerge che il 95% del flusso commerciale del Paese è legato al grano tenero (destinato alla panificazione), il restante 5% alla nicchia del grano duro (pasta). Attualmente l’Italia produce circa il 65% del grano destinato all’industria della trasformazione: il restante 30-35% viene coperto dalle importazioni, necessarie per arrivare a colmare il divario tra domanda e offerta interna. La produzione di grano tenero italiano è di circa 3,0 Mt rispetto ad un fabbisogno industriale di circa 5,5 Mt. Di questo quantitativo, una parte della produzione — compresa tra il 10 e il 15% — non è destinata alla produzione di farine, ma alla produzione di sementi e alimentazione animale.
L’allarme Coldiretti
Grande la preoccupazione espressa dalla Coldiretti. «L’Italia e’ costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi un terzo – sostiene l’organizzazione – la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali e’ scomparso anche un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perche’ molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti».
E quest’anno «sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni. Ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare».
La guerra «sta innescando un nuovo cortocircuito sul settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività». Lo ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini per poi concludere che «nell’immediato occorre quindi garantire la sostenibilità finanziaria delle stalle con prezzi giusti che consentano agli allevatori di continuare a lavorare».
Cristina Gauri
3 comments
Svelto il passo…, brava Kris.
I prezzi giusti si ottengono anche con la redistribuzione terriera, Coldiretti sclerotica !
A proposito di prezzi giusti, sto leggendo il libro segnalato qui su P.N. “Le origini dello spirito capitalistico in Italia” di A. Fanfani, edizioni Ar. Notevole !
Basterebbe radere al suolo tutti gli immobili cadenti e inutili, in maggioranza capannoni industriali visto che siamo in decrescita, e rendere la terra all’agricoltura.
Ma abbiamo dei geni in alto che non ci arriveranno mai a capirlo.