Mosca, 19 giugno – Uno studio condotto dal Wifo (Osterreichisches Institutfur Wirtschaftsforschung, Istituto austriaco per la ricerca economica) e rilanciato da un gruppo di giornali europei (in Italia La Repubblica), ha ipotizzato un danno da 100 miliardi di euro e 2 milioni di posti di lavoro persi se l’Europa dovesse proseguire con le sanzioni contro la Russia.
In Italia, secondo il Wifo, nel primo trimestre di quest’anno sono a rischio 80 mila posti di lavoro e quattro miliardi e 140 milioni di euro in valore aggiunto creato dall’export. Ancora più duro il colpo se si dovesse arrivare a fine anno con le sanzioni ancora in essere: sarebbero 215 mila i posti di lavoro persi, mentre le perdite per il valore aggiunto della produzione si attesterebbero a 11 miliardi e 815 milioni di euro.
L’Italia risulterebbe così la seconda economia europea danneggiata dalle sanzioni imposte a Mosca: la prima è la Germania che perderebbe qualcosa di più di un punto di Pil, il danno più pesante fra tutte le economie considerate.
Le premesse e le conclusioni della ricerca condotta dal Wifo sono significativamente diverse rispetto a quelle consegnate il 27 maggio scorso dal rapporto interno sulle sanzioni redatto dalla Commissione Europea.
Peraltro la caccia ai capitali di oligarchi, uomini politici e funzionari dell’apparato di sicurezza russo non ha prodotto in Europa significativi risultati, anzi può a buon ragione essere definita un vero e proprio fallimento. Sono i 150 nomi inseriti nella black list e in ben nove dei 27 paesi membri (Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, Irlanda e Lituania) non è stato trovato un solo euro. In Germania il congelamento dei beni non è andato oltre ad alcuni cavalli da corsa e a 124 mila euro. A Cipro, storica piazza finanziaria utilizzata dai russi, sono stati trovati solo 120 mila euro. Solo l’Italia è apparsa più ligia con 30 milioni di euro di beni sequestrati ad Arkadj Rotenberg, multimiliardario russo intimo di Putin.
Ma se l’Europa, pur consapevole dei danni economici derivati, stoltamente persegue una strada imposta, gli Stati Uniti, fautori delle sanzioni alla Russia e dell’innalzamento dello scontro politico con il governo Putin, procedono in direzione opposta. Tolto il bando agli imprenditori russi imposto lo scorso anno, hanno aumentato in questi ultimi mesi l’interscambio commerciale. “Quando è importante per l’economia americana – scriveva il tedesco Spiegel nei giorni scorsi – la superpotenza si prende un intervallo nella guerra fredda con la Russia”. Insomma, il Dipartimento di stato statunitense è sempre pronto a concedere proroghe e permessi se l’interesse economico è strategico.
Intanto proprio in questi giorni a San Pietroburgo si sta svolgendo il più importante Forum economico della Russia. Sono tante le aziende europee e americane presenti anche solo per curiosità, per sondare la capacità di resistenza dei russi, per trovare nuove possibilità. Si ha come l’impressione che l’isolamento non esista. Ed è significativo che il primo contratto siglato nella giornata di ieri riguardi gli Stati Uniti.
L’Italia, che vanta un legame storico troppo forte per essere spezzato, ha già risposto con un contratto firmato da Tecnimont che in collaborazione con partner russi si è aggiudicata un appalto da Gazpromneft per la realizzazione del progetto Combined Oil Refinery Unit all’interno della Raffineria di Mosca. Un contratto pari ad un valore di 480 milioni di euro.
Giuseppe Maneggio