Roma, 30 apr – «Quest’anno i soldi non si chiedono, i soldi si danno», ha affermato Mario Draghi in pompa magna. Certo, siamo già un passo avanti rispetto alla solita tiritera degli europeisti più impenitenti («i soldi sono finiti»). Eppure, l’impressione è che la sparata dell’ex governatore della Bce sia solo una versione aggiornata della «potenza di fuoco» di Giuseppe Conte. E cioè una carica a salve. Spieghiamoci. Il Recovery Plan viene dipinto dai media come una sorta di nuovo Piano Marshall che ci risolleverà dalla crisi economica provocata dalle chiusure. Peccato solo che questa non sia la realtà. E non è un caso che Bruxelles abbia già messo le mani avanti: i soldi del Recovery Plan arriveranno, ma saranno vincolati a condizioni e paletti molto rigidi.
Arrivano i falchi di Bruxelles
Come riporta il Financial Times, infatti, la Commissione europea ha già studiato un piano molto accurato. Detto in parole povere: il denaro verrà erogato, ma andrà investito in determinati settori e in cambio di ben precise riforme. Naturalmente, nel gergo brussellese, «riforme» non vuol dire affatto modernizzazione, bensì tagli, austerità, lacrime, sangue e stridor di denti. È questo ciò che emerge dalle parole di Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile della politica economica dell’Unione. Il quale ha confermato che ogni spesa del Recovery Plan sarà vincolata a numerose condizioni e «disciplinata da una serie di regole restrittive». Come ha spiegato il vicepresidente, infatti, «il sistema che abbiamo approntato è un sistema robusto che garantirà un uso corretto di questo finanziamento dell’Unione europea». E che cosa succede se gli Stati membri dovessero fare di testa loro? Anche su questo Dombrovskis è stato chiarissimo: Bruxelles è pronta «a sospendere i pagamenti».
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Le condizioni del Recovery Plan
Quali sarebbero dunque queste «riforme», le condizioni del Recovery Plan? Come spiega sempre il Financial Times, i settori interessati sono il sistema pensionistico, il mercato del lavoro, la qualità della pubblica amministrazione e via tagliando. E naturalmente, assicura Dombrovskis, «se alcune riforme si bloccano, se qualche progetto di investimento non sta andando avanti per qualsiasi motivo, il denaro non verrà concesso». Non è un caso che il piano approntato da Draghi lasci parecchie perplessità: miliardi su miliardi spesi per cose come digitalizzazione, transizione energetica e «inclusione», e briciole per sanità e sostegno alle imprese. In poche parole, non solo il tanto decantato Recovery Plan non servirà a farci uscire dalla crisi, ma ci vincolerà ancora di più ai falchi di Bruxelles. E in questo tuffo nell’abisso, Conte o Draghi per me pari sono.
Valerio Benedetti
2 comments
Oramai senza sovranità monetaria(la BCE è privata come la Banca d’Italia) l’Italia deve accattonare prestiti.Nella realtà non servirebbe dato che alle aste dei bot a tassi vicino allo zero i titoli sono richiestissimi, vista la deflazione galoppante che c’è nel mondo .Ma la finanza globalista ci vuole sottomessi alla loro commissione, non eletta dal parlamento europeo.
Le continue condizioni che vengono poste al prestito recovery dalle elites fà sembrare che i soldi ce gli regalano mentre quasi tutto è da ripagare.E’ come se uno chiede un mutuo alla banca ma la banca gli impone l’immobile da comperare.Siamo alla servitù della gleba
E’ proprio così. Ma occhio perché non c’è la deflazione in tutto il mondo, ci sono immense aree cosiddette emergenti dalla povertà dove lor signori viaggiano con l’ inflazione tipo italietta anni ’70.