Roma, 3 set – Ad ogni cambio della guardia, vuoi che sia il governo, il ministro del Lavoro, il presidente dell’omonima commissione o dei vertici dell’Inps, la rassicurazione è sempre la stessa: il sistema pensionistico è solido, la previdenza pubblica tiene. Salvo poi, immancabilmente, intervenire in qualche modo per puntellare bilanci che a seconda di chi li osserva sembrano sempre più traballanti. In principio fu la Fornero. Passata la stagione dei governi tecnici e delle misure emergenziali (ma non giustificate), le maglie non sembrano però volersi riaprire.
In tal senso che si snodano le proposte allo studio in questi giorni sull’ennesimo intervento previdenziale. Secondo quelle che sono le proposte di Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta (entrambi Pd) si sta discutendo sulla possibilità di consentire ai lavoratori di andare in pensione anticipatamente rispetto ai 66 anni previsti della riforma Fornero, a condizione di aver comunque maturato 35 anni di contributi. A condizione, però, di rinunciare a parte dell’assegno: il 2% in caso di anticipo di un anno, che sale al 5% se gli anni diventano 2 e fino all’8% nei tre anni precedenti. Un’idea che sembra convincere il ministro Poletti che, intervistato dal Corriere della Sera non più tardi di ieri, aveva dichiarato: “Bisogna reintrodurre un certo grado di flessibilità sulle pensioni. Perché tenere le persone dentro le aziende è uno dei fattori che impedisce ai giovani di trovare un lavoro. E una delle cause per cui le aziende stesse faticano a tenere il passo con un mondo sempre più veloce”.
Iniziativa lodevole, ma quanto fattibile? Anzitutto, dati i vincoli europei e nonostante le vacue promesse di Renzi sull’indipendenza fiscale, un problema riguarda le coperture. Stando ai calcoli prodotti da Tito Boeri, presidente dell’Inps, servono almeno 8 miliardi. Stima più al ribasso secondo Damiano e Baretta, che giudicano le previsioni di Boeri “irrealistiche”. Al di là delle esigenze di finanziamento, seconda questione all’ordine del giorno riguarda l’adesione: in quanti sarebbero disposti ad accettare la penalizzazione, considerando che già oggi i trattamenti pensionistici non sono quel gran assegno?
Nel frattempo, dall’Inps arriva la notizia che a 50mila pensionati non sarà più corrisposta la quattordicesima mensilità, integrazione introdotta nel 2007 a sostegno dei redditi più bassi. Una sorpresa con la quale in molti han dovuto fare i conti a sorpresa lo scorso luglio, con l’ente previdenziale che millantava problemi tecnici salvo poi scoprire che per qualche motivo non hanno invece più i “requisiti” richiesti. Svista, errore tecnico o ulteriore passaggio -sia pur piccolo, ma gli esempi si sprecano- di depotenziamento del pilastro previdenziale di Stato? Il ministro Poletti non ha mai fatto mistero di voler guardare con attenzione alle forme integrative private, più volte lodate anche pubblicamente. Chi pensa male fa peccato ma, andreottianamente..
Filippo Burla
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