Roma, 5 ott – Galeotta fu la riforma Delrio, la legge 7 aprile 2014 con la quale, trasformandole in enti di secondo livello, l’allora governo Renzi dava il via ad un’operazione che avrebbe dovuto portare, nel giro di pochi anni, alla scomparsa delle province. Ad oltre sei anni distanza siamo ancora in un limbo nel quale le province si mantengono ancora in vita, continuando a gestire servizi essenziali ma a fronte di risorse sempre più ridotte. Con effetti evidenti a tutti: il crollo di ben 12 ponti su altrettante strade – principalmente, per l’appunto, provinciali – in occasione dell’ultima giornata di maltempo è lì a dimostrare il pietoso stato in cui versano le nostre infrastrutture viarie.
Strade (e ponti) colabrodo
Il discorso parte dalle province per un motivo semplice: pur formalmente soppresse, ad esse continua a far capo la realizzazione, gestione e manutenzione del sistema viario – ponti compresi – di prossimità. Una rete sterminata: le provinciali rappresentano qualcosa come l’80% del totale delle strade italiane, all’incirca 130mila km (diventano 155mila se consideriamo anche le strade regionali) di un fittissimo reticolo, essenziale per la mobilità locale ma allo stesso tempo lasciato al suo destino. Perché non ci sono solo i ponti che crollano (o che vengono chiusi per impraticabilità, con lavori che non partono mai), ma anche strade i cui limiti di velocità vengono portati per ragioni di sicurezza anche al di sotto dei 30 km/h, altre che devono fare i conti con numerosi sensi unici alternati a causa di cedimenti e smottamenti, altre ancora sotto costante minaccia di bloccare direttamente la circolazione.
Se la riforma Delrio ha dato il colpo di grazia, in realtà i problemi delle province datano a qualche anno prima. A partire almeno dal 2008, quando iniziò la stagione dei tagli lineari in ossequio alle imposizioni comunitarie sulla disciplina di bilancio. La decurtazione dei fondi, insomma, si fa sentire già prima del “riordino” dell’allora ministro degli Affari regionali. Con il risultato che, ad oggi, le strade provinciali possono contare su una dotazione pari poco più di 500 milioni di euro l’anno per il loro esercizio, destinati però a salire (in media) di 200 milioni da qui al 2023, grazie allo sblocco da quasi un miliardo di euro deliberato dal ministero delle Infrastrutture lo scorso febbraio.
Mancano all’appello almeno 5,6 miliardi
Lo sforzo, pur lodevole dopo una stagione di tagli indiscriminati, non sarà tuttavia sufficiente a recuperare le mancanze accumulate nel corso del tempo. Stando ad una ricerca curata dalla Fondazione Filippo Caracciolo – Centro studi Aci, per ogni km di strada provinciale servono 13mila euro l’anno per la manutenzione ordinaria e 33mila per quella straordinaria. Fanno in totale 46mila €/km. Peccato che, prima del citato sblocco dei fondi, le risorse non superassero i 3.500 euro al km. Una distanza siderale tra fabbisogno e stanziamento, tale da aver creato, dal 2008 al 2018 (lo studio si ferma a quell’anno) un “arretrato” pari a quasi 42 miliardi.
Non c’è solo il passato, ma anche il futuro. Non basta, insomma, recuperare il tempo perso ma continuare a gestire l’esistente. Qui la ricerca della Centro studi Aci affonda il dito nella piaga, stimando in 1,7 miliardi l’anno le risorse necessarie per la manutenzione ordinaria e in 4,4 per quella straordinaria. Il “conto” complessivo assomma a 6,1 miliardi, evidenziando così un deficit (sempre annuale) pari a 5,6 miliardi, solo in minima parte compensati dal miliardo messo a disposizione – da spalmare però su un arco di cinque anni – dal fu ministero dei Lavori pubblici. Se insomma fino a pochi anni fa le risorse erano sufficienti a garantire meno del 10% delle opere necessarie alla rete, oggi forse possiamo tornare in doppia cifra. Magra consolazione, mentre attendiamo il prossimo scroscio di pioggia per tornare a fare la conta dei ponti crollati.
Filippo Burla
1 commento
I ponti crollano perché avete abbattuti i muri.