Helsinki, 1 mar – Ricordate Olli Rehn, il commissario europeo agli affari economici che nel pieno di uno degli apici della crisi greca chiedeva di mettere il partenone a garanzia dei debiti? Chissà cosa dirà oggi che la Finlandia, dopo anni di crisi nera, si ritrova quasi nella stessa situazione di Atene.
Se uno o due anni di recessione possono essere impegnativi, figuratevi cosa ne significano tre o quattro pressoché consecutivi. E immaginatevi cosa può significare una stagnazione fatta di su e giù fra periodi di ulteriore recessione e (mini, micro)ripresine, fuochi fatui per un’economia che si fregiava di essere fra le più avanzate del mondo. Dai massimi del 2007 il Pil ha così perso quasi 10 punti percentuali, mentre la disoccupazione è cresciuta di quasi il 40%: era inferiore al 7% 10 anni fa, tocca il 9,5% oggi.
Cos’è successo alla virtuosa Finlandia? E’ successo che anni di riforme – quelle che Rehn chiedeva alla Grecia, per capirci – fatte di austerità e cure da cavallo sul bilancio pubblico hanno dato i loro frutti. Erano necessarie per allineare la nazione alla disciplina Ue, si sono rivelate un disastro che avvantaggia i vicini di casa. La Svezia, ad esempio, che aderisce all’Ue ma, conservando la sua moneta nazionale, vanta una decisa svalutazione nei confronti del paese dei mille laghi. Il risultato? La Finlandia ha perso quasi del tutto la sua manifattura, da Nokia ormai retaggio della storia economica all’industria cartaria, spettro di sé stessa. Nel frattempo, uno dei mercati di sbocco dei prodotti finnici – la Russia – è praticamente precluso dalla miope politica comunitaria fatta di sanzioni a spron battuto nei confronti di Mosca. Non potendo svalutare la moneta, Helsinki è stata così costretta a seguire la strada della svalutazione interna: giù i salari per tentare il rilancio della competitività. Rilancio che, a meno di non scaricare gli oneri sugli altri membri dell’eurozona, non è però riuscito e si è invece trasformato in una contrazione della domanda interna, aggiungendo carbone alla brace. Da qui la lapidaria conclusioni di Matt O’Brien, reporter economico del Washington Post: “La Finlandia è l’esempio migliore per capire perché l’euro non funziona”.
A tenere sono solo poche eccellenze, come la compagnia di bandiera Finnair e il sistema bancario-finanziario. Quest’ultimo non è ancora stretto nella morsa come nel caso greco o italiano ma, partendo la crisi dall’economia reale sembra solo essere questione di tempo prima che i crediti divengano, lentamente ma inesorabilmente, un ulteriore problema per i concittadini di Babbo Natale.
Filippo Burla