Atene, 8 mar – Niente da fare. Nonostante gli sforzi, l’impegno, i tagli, l’austerità, la Grecia si ostina a non crescere. Le stile sul Pil del 2016, riferite all’ultimo trimestre dell’anno, parlano chiaro: il prodotto interno lordo ha registrato un calo dell’1,2%, il triplo rispetto al -0,4% previsto dagli analisti. La flessione al ribasso trascina con sé tutto il Pil dei dodici mesi scorsi, che dal +0,3% delle stime iniziale segna invece sull’anno un -1,1%.
La Grecia torna dunque in piena recessione, accompagnata da nuove misure imposte dalla Troika e che il governo Tsipras non sembra voler contrastare. A novembre furono annunciate nuove riduzioni alle pensioni, che dall’inizio della crisi hanno già perso qualcosa come il 50% nel valore dell’assegno. Per non parlare di tredicesime e quattordicesime, praticamente un ricordo, mentre migliaia di pensionati attendono ancora le liquidazioni, per le quali si attende una decurtazione di quasi un terzo. Le tasse intanto continuano ad aumentare, compresa l’agevolazione fiscale per le isole disagiate che è stata del tutto eliminata la scorsa primavera. Così come non sono mancati ulteriori tagli ad un servizio sanitario ormai al collasso, con gli ospedali senza la possibilità di comprare persino i farmaci essenziali.
Le ultime trattative in corso non intendono variare la rotta sulla quale Ue, Bce e Fmi (sia pur con divergenze fra loro) hanno impostato la loro “cura” per il paese. Si parla di altre cure dimagranti per il bilancio pubblico, come se già non fosse abbastanza anoressico di suo, per almeno 3,6 miliardi.
La strada per la crescita è così ad un punto morto, frutto anche di scelte decisamente discutibili. Insistere imperterriti su tagli e smantellamento dello stato sociale, dopo che l’esperienza passata ha dimostrato una fallacia su tutti i fronti, è questione più da psichiatria che da teoria economica. La quale, peraltro, è stata letteralmente cestinata pur di far spazio all’esigenza di salvare la moneta unica. Basti pensare al presupposto dei tagli, quel moltiplicatore fiscale (in estrema sintesi: quanto aumenta il reddito per ogni euro aggiuntivo di spesa pubblica) fissato dal Fondo monetario a 0,5 per cui, sostenevano gli esperti dell’istituto, una politica fatta di austerità non avrebbe inciso più di tanto sui saldi di contabilità nazionale. Peccato che quella stima fosse del tutto arbitraria, dato che il valore si collocava almeno a quasi il triplo e quindi i tagli imposti hanno fatto tre volte più danno. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Filippo Burla