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Il Franco CFA: così la Francia costringe l'Africa al sottosviluppo

by Claudio Freschi
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Roma, 25 nov – Il dibattito sulla moneta panafricana del franco CFA non è certo una novità degli ultimi mesi, fin dalla sua introduzione una vasta schiera di economisti si è chiesta quali fossero i vantaggi effettivi di questo sistema monetario,  ma recentemente ha assunto una nuova rilevanza in seguito al sempre più diffuso malessere delle popolazioni coinvolte, che hanno iniziato a far sentire la loro voce attraverso movimenti che hanno una qualche similitudine con quelli europei che manifestano  l’insoddisfazione  per la moneta unica.
Il franco CFA nasce nel 1945 in periodo coloniale, tanto è vero che l’acronimo CFA significava “Colonie Francesi d’Africa” solo alla fine degli anni 60 in seguito alla ritrovata indipendenza delle ex colonie venne rinominato in “Comunità Finanziaria Africana”.
Sono 14 i paesi che sono stati costretti ad adottare la moneta unica, precisamente Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, per una popolazione totale di circa 155 milioni di persone.
In origine la valuta di riferimento era il franco francese sostituita in seguito dall’euro ma i punti principali previsti dall’accordo sono gli stessi ovvero:

  • La Francia garantisce la convertibilità illimitata del CFA in euro;
  • Il tasso di conversione tra CFA ed euro è fisso:  1 euro = 655,957 franchi CFA;
  • I trasferimenti di capitali tra la zona franco CFA e la Francia sono liberi;
  • A seguito e come contropartita dei primi tre punti, il 50 % delle riserve valutarie dei paesi della zona franco CFA devono essere depositate presso un conto della Banca di Francia a Parigi.

Partiamo dall’ultimo punto. Le riserve valutarie stimate e depositate presso la Banque de France ammontano a circa 10 miliardi di euro. Questo denaro viene sostanzialmente investito in titoli di stato emessi dal Tesoro e quindi contribuisce a finanziare il debito francese spesso in violazione degli accordi di Maastricht, e possiamo dunque dire che parte della spesa pubblica transalpina viene pagata con i soldi degli africani che potrebbero essere impiegati per finanziare progetti di sviluppo ad ampio respiro nelle loro nazioni.  Tutto questo nonostante varie pressioni da parte soprattutto tedesca volte a chiedere di versare questi depositi presso la Bce, richieste che sono sempre state rispedite al mittente dai vari governi francesi.
Garantire la convertibilità significa fondamentalmente affidare la gestione del franco CFA al Tesoro francese, che non solo stampa fisicamente la moneta ma ha il potere di determinarne l’ammontare in circolazione.  Il fatto che una nazione stampi moneta per Paesi Terzi senza usarla nei suoi confini rappresenta un caso unico al mondo.
Il problema derivante dal cambio fisso è invece più complesso. Se da un lato garantisce innegabili vantaggi quali la stabilità della moneta, un’inflazione controllata e in generale una certa facilità di scambi tra i paesi che utilizzano il franco CFA, dall’altro solleva dubbi di natura morale ed economica. Innanzitutto il tasso di conversione fisso consente alle multinazionali occidentali di operare nei paesi africani azzerando il rischio di cambio creando un vantaggio competitivo non indifferente, ed in secondo luogo consente l’accumulo da parte dei governanti locali di notevoli somme sui conti francesi (grazie anche al libero trasferimento di capitali) che spesso sono frutto di corruzione o di altre pratiche poco trasparenti.  Da un punto di vista strettamente economico la situazione è paradossale: il franco CFA è legato ad una moneta e ad un’area completamente diversa per  tessuto sociale ed imprenditoriale e si trova quindi a subire gli effetti delle fluttuazioni che caratterizzano la valuta europea senza alcuna possibilità di influire su di esse. Inoltre, il legame con una moneta così forte non consente agli Stati di offrire prezzi competitivi sul mercato, con risultati decisamente penalizzanti sulle esportazioni ed in generale sulle fragili economie locali.
Ma oltre alle clausole finanziarie principali ne esistono molte altre ancora più anacronistiche e sicuramente dannose per le economie degli stati africani. Ad esempio vige ancora il “primo diritto”, ovvero la possibilità riservata alla Francia di comprare qualsiasi risorsa naturale scoperta nelle sue ex colonie, permettendo così un costante controllo su materie prime di grande valore come il petrolio, il gas, l’oro o l’uranio. Tutto questo ha portato all’arricchimento della Francia e delle sue imprese e allo stesso tempo un impoverimento sociale ed economico dei paesi africani favorendo, seppur indirettamente, la fuga di milioni di individui da questi paesi verso l’Europa.
Ma qualcosa sembra muoversi seppur lentamente, e persone come Kemi Seba si stanno ritagliando il loro spazio pur tra mille difficoltà. Il giovane intellettuale francese di origine senegalese è un aperto sostenitore dell’abolizione di questa moneta, e si è posto alla guida di un movimento panafricano che vuole fortemente restituire ai Paesi africani la piena indipendenza e la sovranità economica.
Anche economisti piuttosto noti in Africa come il togolese Kako Nubukpo hanno più volte sfidato pubblicamente la Francia e il suo presidente Macron in particolare, accusandolo di perpetrare una politica neocolonialista e sostenendo con forza la tesi che il franco CFA ha il solo scopo di impedire la crescita economica e sociale dei paesi africani. Nubukpo arriva a paragonare l’attuale sistema ad un moderno regime feudale che costringe i governanti africani a pagare il “signoraggio” alla Francia per poi invocarne la protezione quando a causa di questo sistema le popolazioni si impoveriscono e scoppiano le rivolte.
Il fatto che vi sia un consenso sostanzialmente unanime tra economisti e intellettuali africani sulla necessità di abbandonare o quantomeno modificare questo sistema mentre la maggior parte dei capi di Stato e di governo delle stesse nazioni rimane favorevole, rende l’idea di quanto potere politico abbia ancora la Francia in quelle zone.
Possiamo concludere ricordando l’economista francese Jacques Rueff che definiva la valuta come “il campo da gioco su cui si svolgono due partite fondamentali, il futuro dello sviluppo economico e il destino della libertà politica” ma il sistema del franco CFA sembra non soddisfare questi obiettivi e il popolo africano inizia ad esserne consapevole.
Claudio Freschi

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3 comments

Giorgio 25 Novembre 2018 - 6:48

Tra Kako Nubukpo ed Emanuel Macron non c’è storia… su questo argomento poco buonista ma molto realista, il Signor Kako ha tante ragioni, già sostenute in Francia da Marine Le Pen.

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Koly 26 Novembre 2018 - 7:47

Il franco CFA è un strumento di sfruttamento monetario questo è innegabile e tutti lo sanno sia in Francia che in Africa quelli governatori corotti africani che sostingono questa monéta lo fanno solo li per salvarsi la testa al potere dagli eventuali riposte venendo da Parigi.

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Franco CFA: la moneta francese che tiene in ostaggio 14 paesi africani 22 Gennaio 2019 - 11:56

[…] Possiamo concludere ricordando l’economista francese Jacques Rueff che definiva la valuta come “il campo da gioco su cui si svolgono due partite fondamentali, il futuro dello sviluppo economico e il destino della libertà politica” ma il sistema del franco CFA sembra non soddisfare questi obiettivi e il popolo africano inizia ad esserne consapevole. Fonte Il primato nazionale […]

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