Torino, 12 apr – Sono liberi professionisti, non dipendenti. Con questa motivazione il tribunale del lavoro di Torino ha respinto il ricorso dei fattorini con la borsa rosa, quelli della multinazionale Foodora, che consegnano cibo a domicilio ordinato online in sella alla loro bicicletta. Un colosso che il mondo globalizzato prende a modello, e una sentenza che potrebbe aprire la strada a ulteriori discriminazioni e a una sempre maggiore precarietà lavorativa.
Tutto è cominciato nel 2016 quando sei rider, robante nome con cui vengono chiamati questi fattorini, si erano visti togliere il lavoro perché avevano protestato per le condizioni di lavoro in cui erano costretti e la paga oraria che Foodora riconosceva loro. Questi novelli pony express senza cavallo, però, non erano assunti dalla multinazionale e quindi non potevano vantare alcun diritto o rivendicazione. Per questo si erano visti sospendere la collaborazione.
Hanno chiesto il reintegro in azienda, e si sono mossi affinchè il loro lavoro venisse equamente retribuito e riconosciuto mediante un’assunzione. Tutto inutile. Non solo Foodora non ne ha voluto sapere. Persino la giustizia italiana ha sbattuto loro la porta in faccia.
I giudici, però, ritengono che consegnare cibo in giro per la città, con la propria bicicletta su cui viene montato un borsone rosa acceso, per 2 euro e 70 l’ora, 3,60 quando va bene, per un monte ore che va dalle 20 alle 30 ore settimanali, senza turni regolari né certezza di accaparrarsi la consegna, e soprattutto senza alcuna prospettiva per il futuro, appartenga al mondo della libera professione. di sicuro non appartiene nemmeno al mondo del lavoro dipendente. Vista da fuori, sembra sia una forma legalizzata di schiavismo, che impedisce a una persona di costruirsi un futuro.
“Se questo sistema di lavoro è stato ritenuto legittimo, si espanderà“, commentano i legali dei rider, Giulia Druetta e Sergio Bonetto, annunciando l’intenzione di appellarsi alla sentenza. Non ci stanno i legali di Foodora che ribattono: “Questa causa trattava la situazione di sei ricorrenti, in un periodo specifico di tempo e che hanno prestato un’attività estremamente diversificata quanto a ore giornaliere, settimanali e mensili” e uno dei legali aggiunge “Questa è la prima causa che, a mia conoscenza, riguarda il fenomeno dei rider. Molte cose sono cambiate in questi mesi nell’azienda“.
Sarà, ma per i diritti dei lavoratori Foodora era scesa in campo persino l’Ue, che aveva chiesto contratti di lavoro più trasparenti, maggiori diritti e retribuzioni adeguate. Segno che la protesta dei sei rider torinesi non era campata per aria. Dopotutto in materia di gig economy, altro termine evocativo che però indica il guadagnarsi da vivere, o integrare il proprio reddito, facendo lavori saltuari, senza contratto, solo quando viene richiesto o quando si può, esiste un pesante vuoto normativo e le direttive europee prima del caso Foodora risalivano a 25 anni fa, quando internet era cosa per pochi addetti ai lavori.
Anna Pedri
Foodora: il giudice respinge il ricorso e dà torto ai fattorini sfruttati
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1 commento
sarebbe bello che tutti fossero assuinti con diopendenti a tempo indeterminato…..
MA
lavorando come e quando si ha voglia?
allora il mio idraulico che lavoro da solo , chi lo assume , chi gli paga la malattia , le ferie, il TFR?