Roma, 14 feb – Continua lo stato di agitazione dei dipendenti della ex Embraco. La situazione per le maestranze piemontesi si aggrava di giorno in giorno. L’ultima batosta è arrivata dal “curatore fallimentare” di Ventures Production (gli ex proprietari dello stabilimento piemontese) che ha avviato la procedura di licenziamento collettivo. Una pessima notizia per le maestranze che tra cinque mesi (quando scadrà la cassa integrazione) rischiano di rimanere senza reddito. Per questo, martedì scorso, gli operai della ex Embraco hanno manifestato davanti alla prefettura di Torino.
Il progetto Italcomp non decolla
La protesta non si ferma anche se con scarsi risultati. Il ministero dello Sviluppo Economico non è ancora riuscito a dare delle risposte soddisfacenti ai dipendenti dell’ex Embraco. Eppure solo pochi mesi fa gli operai dello stabilimento di Riva di Chieri avevano visto uno spiraglio di luce. Facciamo un passo indietro.
Lo scorso novembre il Ministero dello Sviluppo Economico si era impegnato a favorire la creazione di Italcomp: un polo europeo dei compressori per elettrodomestici tra Torino e Belluno. In pratica lo Stato, tramite Invitalia, era disposto ad investire per rilanciare sia lo stabilimento piemontese che quello della Acc di Mel in provincia di Belluno. Nel verbale dell’incontro possiamo leggere i dettagli dell’operazione: “Il sito di Riva di Chieri diventerà il centro di eccellenza per la produzione di motori, mentre il sito di Mel si specializzerà nell’assemblaggio dei compressori, e inoltre sarebbe la sede dell’amministrazione, della progettazione e della commercializzazione. L’obiettivo in termini di produzione è stato individuato in 6 milioni di compressori per frigoriferi e in due ulteriori milioni di pezzi per altre applicazioni per elettrodomestici, da realizzarsi con un investimento complessivo di 56 milioni euro”. Sembrava fatta. Il Mise aveva cambiato rotta: non più assistenzialismo (cassa integrazione o ammortizzatori sociali) ma spesa pubblica per favorire lo sviluppo industriale. Fu solo un fuoco di paglia che si spense in poche settimane.
Ex Embraco: l’altolà di Bruxelles
A gennaio il nascente polo italiano dei compressori subisce una battuta d’arresto. La direzione generale alla concorrenza della Commissione Europea “non aveva autorizzato l’aiuto di Stato richiesto dal Governo italiano lo scorso 3 agosto a favore di Acc, consistente nell’erogazione da parte di tre istituti di credito, UniCredit, Intesa e Ifis, di finanziamenti per 12,45 milioni garantiti dal Tesoro come prevede l’art. 55 della Prodi-bis”. Questo è quello che denunciò Maurizio Castro (commissario straordinario dello stabilimento veneto) dalle colonne de Il Sole 24 Ore. E veniamo ai giorni nostri.
Le colpe della nostra classe dirigente
Per uscire dall’impasse, l’esecutivo guidato da Conte prova a cambiare strategia: Palazzo Chigi ha “alzato” a 15 milioni il finanziamento e riuscendo ad impostare (e ottenere) la garanzia della Sace al 90% prevista dalle norme Covid. In attesa della risposta di Bruxelles, le banche ne hanno approfittato per tirarsi indietro. In pratica, il piano B si è rilevato un boomerang: probabilmente non basta per convincere l’Ue ma di sicuro ha dato un alibi alle banche per bloccare l’operazione. Un capolavoro!
Il comportamento della Commissione Europea e degli istituti di credito è senza dubbio da biasimare, tuttavia non ci stupisce. Conosciamo fin troppo bene i dogmi su cui si regge la fragile impalcatura dell’Ue. Chi ha scritto un progetto che è stato impallinato da Bruxelles in poche settimane? E perché poi rilanciare con i prestiti previsti per il Covid? La risposta è tanto semplice quanto triste: ci abbiamo provato, o meglio abbiamo improvvisato. Non c’è, dunque, da stupirsi di questo stallo nelle trattative.
Ora toccherà al nuovo premier Mario Draghi convincere i suoi ex colleghi banchieri a “finanziare” il progetto Italcomp. Gli operai della ex Embraco hanno un nuovo santo a cui votarsi con la speranza che questa sia la volta buona.
Salvatore Recupero