Atene, 9 mar – Il 20 agosto 2018 ha segnato formalmente la fine del piano di salvataggio della Grecia, come annunciato con grande enfasi dai 19 ministri delle finanze dell’Unione Europea la fase più difficile della crisi del debito greco che aveva minacciato l’esistenza della moneta unica e dell’intera Unione era alle spalle. Ma secondo molti economisti l’intero piano di aiuti è stato un colossale fallimento.
La crisi del 2008
Per analizzare le ragioni di questo fallimento occorre fare un passo indietro e andare alle radici della questione, la genesi della grande crisi finanziaria e come è stato deciso di affrontarla.
Alla fine del 2008 il fallimento della Lehman Brothers, una delle banche più grandi a livello mondiale, diede inizio ad un circolo vizioso che portò centinaia di istituti di credito in tutto il mondo alla rovina.
La crisi finanziaria globale fece presto sentire i suoi effetti sull’economia reale, le aziende smisero di investire e i privati di acquistare, la disoccupazione aumentava e le entrate fiscali dei singoli stati diminuivano. Per fare fronte a queste problematiche si avevano di fronte due strade, una politica economica di matrice liberista basata sulla capacità dei mercati di autoregolarsi e sul rigore nei conti pubblici, oppure una politica keynesiana, fondata su massicci investimenti pubblici per sostenere la domanda ed uscire dalla crisi.
L’Europa scelse la prima opzione, decidendo di combattere la generale diminuzione del Pil e l’aumento del debito pubblico con una serie di misure uguali per tutti, ovvero tagli della spesa pubblica, sacrifici e rigore nei conti.
Arriva la Troika
Alla fine del 2009 il primo ministro greco George Papandreou rivela che i governi precedenti avevano impropriamente utilizzato degli strumenti derivati al fine di mascherare la reale portata del disavanzo pubblico per fare in modo che il paese potesse entrare nell’eurozona nel 2002. In breve tempo i titoli di stato della Grecia crollano, rendendo insostenibile il peso dei tassi di interesse per le finanze pubbliche ed aprendo la strada all’intervento della famigerata troika, ovvero la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale.
Nel maggio 2010 la Grecia riceve ufficialmente il primo aiuto finanziario da parte della Troika, un maxi prestito di 110 miliardi di euro legato a condizioni rigorosissime in tema di spesa pubblica e riforme, in seguito ne riceverà altri due, portando il totale a quasi 290 miliardi di euro.
La macelleria sociale
Le condizioni imposte dalla troika si sono però rivelate durissime, al fine di ottenere un surplus di bilancio, ovvero una condizione in cui le entrate dello stato superino le uscite, pari al 2% del Pil fino al 2060, il parlamento greco si è trovato costretto a promulgare leggi che hanno provocato una vera e propria macelleria sociale, come:
– la sospensione o l’annullamento dei contratti collettivi, che ha dato via a licenziamenti di massa soprattutto nel settore pubblico;
– il taglio massiccio di stipendi e pensioni statali;
– un estensivo programma di privatizzazione di settori strategici, dalla fornitura di energia al trasporto pubblico, che ha portato ad aumenti tariffari e minore fruibilità dei servizi.
Per cercare di mantenere costanti le entrate fiscali sono state inoltre introdotte più tasse a scapito della classe media e sono stati ridotti drasticamente i servizi.
I risultati di queste misure di austerità non sono affatto incoraggianti. Come era prevedibile il Pil della Grecia è passato dai 354 miliardi del 2008 ai 200 miliardi del 2018, con una contrazione del 44%. Il potere di acquisto negli ultimi 10 anni è crollato del 24%, mentre il 20% della popolazione vive in estrema povertà secondo i dati Eurostat. La classe media è schiacciata da una pressione fiscale che arriva al 75%, la disoccupazione è arrivata al 21% con punte del 40% tra i giovani. La spesa per le pensioni e i programmi di assistenza sociale è stata tagliata del 70%. Negli ultimi 8 anni si è assistito ad un altissimo tasso di suicidi tra pensionati e ad una forte emigrazione dei giovani.
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I fanatici del rigore ribattono affermando che nel 2018 si è assistito per la prima volta ad una timida ripresa della crescita economica, ma questa è dovuta ad un piccolo aumento degli investimenti in seguito al tracollo del costo del lavoro ovvero dei salari dei cittadini e dal prezzo degli immobili in discesa libera e non può essere considerata come una decisa inversione di tendenza.
In tutto questo il debito pubblico greco è attualmente al 180% del Pil, senza ombra di dubbio la cifra più alta in Europa, che fa sembrare l’Italia quasi un Paese virtuoso con il suo 130%.
Appare evidente che la continua iniezione di liquidità fornita dalla Troika non è quindi servita per finanziare i necessari investimenti in infrastrutture ed opere pubbliche in modo da aumentare l’occupazione e quindi la base imponibile, bensì fondamentalmente per ripagare i precedenti prestiti.
Questa tesi è condivisa tra gli altri, da Yanis Varoufakis ex Ministro delle Finanze greco oggi forte critico delle politiche del governo Tsipras, il quale afferma che non è stata la Grecia ad essere stata “salvata” dagli aiuti internazionali, bensì le grandi banche tedesche e francesi che all’epoca dello scoppio della crisi detenevano quasi il 70% del debito pubblico greco.
Le prospettive a medio lungo termine non sono certo rosee, i creditori della Grecia sembrano voler dilatare all’infinito le condizioni di rimborso del debito. La durate dei prestiti del Meccanismo europeo di stabilizzazione è attualmente di 32 anni. I rimborsi per i prestiti del Fondo Europeo per la stabilità finanziaria sono stati prorogati al 2060, così come sono stati rinviati i pagamenti degli interessi al 2032.
Sembra che la volontà della Unione Europea e della Banca Centrale Europea sia quella di ritardare deliberatamente il fallimento dello Stato ellenico, in modo da costringere la Grecia e la sua economia a rinunciare permanentemente alla propria sovranità in cambio di prestiti che non potranno mai essere ripagati, mettendo completamente in secondo piano le sofferenze del popolo greco.
Claudio Freschi
2 comments
[…] «L’azione in termini di politica fiscale deve essere rilevante», aggiunge de Guindos. Tradotto: bisogna tassare gli italiani già stremati per andare a ristrutturare il debito. È questa, secondo il vice della Lagarde, l’«austerità espansiva» che ci porterà lontano dalle secche della pandemia. Peccato solo che questa formula altisonante sia una supercazzola bella e buona: l’austerità non solo non può mai essere espansiva ma, a detta di molti economisti, ha pure fallito su tutta la linea (per conferma, chiedere agli amici greci). […]
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