Davos (Svizzera), 23 gen – Dalla Grexit alla Brexit nel giro di un anno. Ma senza comune denominatore: se Atene era il grande malato d’Europa e la sua uscita dall’area euro sembrava quasi cosa fatta ma per volontà altrui, la Gran Bretagna rappresenta invece una delle economie al momento più floride e dinamiche. Pesa sicuramente l’essere la base operativa della finanza internazionale (speculazione compresa), ma Londra ha avviato anche un processo – fatto di alti e bassi – di rifocalizzazione sulla manifattura, la grande assente dalle politiche industriali comunitarie.
Proprio i rapporti con l’Unione Europa sono il nocciolo della questione. La recente affermazione, alle scorse elezioni per il parlamento di Strasburgo, dell’Ukip, il partito guidato da Nigel Farage che nel frattempo è riuscito anche ad eleggere un deputato alla Camera dei Comuni confermandosi così terza forza del Regno Unito, ha riportato in agenda il tema di un’eventuale distacco, più o meno approfondito, dell’isola da Bruxelles. La cosiddetta Brexit, appunto. Da allora, visti anche i crescenti successi dell’Ukip, il primo ministro David Cameron ha cercato di rintuzzare gli attacchi dell’opposizione correndo sul suo stesso piano. Da qui l’ipotesi – che non manca di far discutere all’interno dei Conservatori, la formazione dell’attuale premier – di sottoporre la decisione referendum, i cui risultati sembrano preoccupare il gotha dell’economia e della finanza riunito in questi giorni fra le montagne della Svizzera.
David Cameron ha continuato ad insistere: o l’Europa concede quel che la Gran Bretagna chiede – riforme su fruizione dello Stato sociale da parte degli stranieri, maggiori controlli alle frontiere, possibilità di non aderire alle nuove forme di integrazione comunitaria e altri svariati punti – oppure, entro il 2017, si terrà la consultazione popolare. Uno tsunami sugli oltre 2mila partecipanti alla convention e che non ha mancato di suscitare reazioni. La prima a prendere la parola, oltre che l’iniziativa, è stata Goldman Sachs. La famosa e potente banca d’affari avrebbe infatti, secondo indiscrezioni, versato oltre mezzo milione di sterline a “Britain Stronger in Europe”, il movimento che fa campagna contro la prospettiva Brexit. Analoga decisione avrebbero preso anche altre banche d’affari come Jp Morgan e Bank of America. Fra le multinazionali anche il colosso farmaceutico GlaxoSmithKline, il cui amministratore delegato ha detto di preferire la permanenza dell’Ue. Non manca l’appoggio anche di Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, secondo cui la tenuta di Schengen e l’ipotesi Brexit sono “le due grandi preoccupazioni” del Fmi.
Filippo Burla