Roma, 14 nov – Pressioni inflazionistiche? Il pericolo di recrudescenza della pandemia e, dunque, i rischi sulle previsioni di crescita? Preoccupazioni che non sembrano agitare gli investitori. Almeno a dare uno sguardo all’ultima asta dei Bot a 12 mesi, che ha fatto segnare un nuovo record storico. Dimostrando ancora una volta che la finanza pubblica non è questione di “mercato”, bensì di politica monetaria.
Un’asta Bot che spiazza tutti i record
Con un rendimento che ha toccato il -0,533%, il titolo ad un anno tocca il livello più basso di sempre. Mai un’asta dei Bot aveva raggiunto livelli così sotto lo zero. Non inganni il segno meno, che non comporta nulla di negativo, anzi: significa che, a scadenza, il ministero dell’Economia dovrà restituire meno di quanto preso a prestito.
Un’improvvisa ondata di fiducia ha colpito l’Italia? Finalmente, magari grazie al governo Draghi, abbiamo colmato il deficit di credibilità? Questo sembrano raccontarci i rendimenti lungo la curva delle scadenze dei titoli del debito, in certi punti persino più bassi rispetto a qualche mese fa. Una narrazione che, tuttavia, lascia il tempo che trova. In virtù delle potenziali problematiche evidenziate in apertura, sarebbe quantomeno lecito attendersi maggiori turbolenze sui mercati. E invece calma piatta.
Guardare alla Bce
Il motivo è presto detto e non ha nulla a che fare con la retorica sull’affidabilità (o meno) delle nostre finanze. Più che a via XX Settembre, bisogna guardare all’Eurotower. Nonostante gli annunci sulla fine del programma di acquisto “pandemico”, la Bce non sembra infatti orientata a frenare in alcun modo gli acquisti dei titoli. Plausibile che, come già avvenuto con il Quantitative Easing, la fine del Pepp non significhi chiusura dei rubinetti. Casomai ci fosse ancora bisogno di spiegare a cosa serve una banca centrale che, per quanto incidentalmente, fa il proprio mestiere di prestatore di ultima istanza, l’ultima asta dei Bot (e la sostanziale chiusura dello spread dopo i recenti incrementi) è per l’ennesima volta lì a dimostrarlo.
Filippo Burla