Roma, 1 ago – Si fa sempre più grave la crisi del contact center Abramo Customer Care. Dopo il concordato preventivo (firmato il 17 giugno 2021 dal Tribunale di Roma), lo scorso 22 luglio l’asta pubblica per l’acquisizione dell’azienda è andata deserta. La notizia, però, stranamente non trova spazio sui media: finora ne hanno parlato solo i giornali locali. Eppure, il gruppo in questione conta circa 4mila dipendenti di cui quasi 3mila in Calabria. Più avanti capiremo perché, ora cerchiamo di conoscere meglio questa società.
Il contact center del Sud
L’azienda calabrese ha una lunga storia. Tutto nasce con la fondazione della Tipografia Popolare nel 1908. Il capostipite era Giovanni Abramo, i suoi eredi diretti continuarono ad occuparsi di grafica e stampa. La svolta avvenne nel 1997 con la creazione della Abramo Customer Care.
Nascono così i primi call center che si specializzano nel settore dell’assistenza clienti per conto terzi. Negli anni verranno avviate nuove filiali in altre regioni. Nel 2009 il gruppo approda all’estero Albania, Germania e addirittura Brasile (2015). Nonostante il processo di internazionalizzazione lo zoccolo duro rimane in Calabria. Questo è stato sicuramente un bene. Migliaia di persone non hanno avuto bisogno di lasciare la loro terra per trovare lavoro.
Ma allora come mai si è giunti a questa situazione? Questo è difficile dirlo. L’anno scorso ci furono le prime preoccupanti avvisaglie. Il contact center cominciò a perdere qualche commessa e si sono ridotti i volumi di lavoro. Nulla, però, faceva presagire una situazione del genere.
Inutile dire che l’impatto sociale di questa vertenza potrebbe essere devastante. Stupisce, pertanto, l’assordante silenzio dei media. Eppure sappiamo tutto sulla chiusura della ex Embraco (circa 500 dipendenti) sullo smantellamento del sito di Napoli della Whirlpool (400 dipendenti).
Perché i media hanno snobbato la vertenza Abramo Customer Care?
Un paradosso che ha colpito anche gli addetti ai lavori. Per Stefano Conti, segretario nazionale Ugl Telecomunicazioni, è “assurdo che vertenze che riguardano qualche centinaio di lavoratori siano sulla stampa un giorno sì e l’altro pure, mentre questa che ne tocca oltre 3 mila in Calabria è quasi assente”. Perché, dunque, è calato il silenzio su questi fatti? Secondo il sindacalista “l’operatore del call center (anche se è altamente specializzato) viene ancora visto nell’immaginario collettivo come un lavoratore spesso giovane che fa questa attività diciamo per entrare nel mondo del lavoro”. Le cose non stanno affatto così. Basti pensare a chi gestisce la commessa Inps. In questo caso si tratta di lavoratori che possiedono le nozioni di tutta la complessità del sistema previdenziale italiano. La percezione collettiva è totalmente distorta.
Per molti giornalisti (ma non solo) i lavoratori dei call center sono in gran parte studenti. Non possiamo stupirci se dunque il tema non è trattato in maniera adeguata dai principali organi di stampa. In questo settore fece eccezione Almaviva, ma la situazione era diversa. Dalla politica però ci aspettiamo un atteggiamento più maturo. Anche se finora non è andata in questo modo.
Come garantire la continuità occupazionale
La prossima occasione per passare dalle parole ai fatti sarà il cinque agosto. In quella data il viceministro dello Sviluppo economico Alessandra Todde ha convocato un tavolo ministeriale sulla Abramo Customer Care.
Per tenere alta l’attenzione su questa vicenda, Ugl Telecomunicazioni giovedì scorso ha riunito i suoi dirigenti regionali. La soluzione non è a portata di mano. Per alcuni rimane solo la clausola sociale. Tuttavia, questo potrebbe non bastare se il ministero dello Sviluppo Economico continuerà a sottovalutare l’importanza delle aziende che operano in questo settore.
Detto ciò, è chiaro che l’incontro del cinque agosto al ministero è carico di aspettative. Il sindacato si attende che il Mise faccia “una sorta di moral suasion nei confronti dei committenti per evitare che le ultime commesse vadano a gara e Abramo non abbia la possibilità di fermarle”.
Il valore di aziende di questo tipo si misura dal volume dei suoi appalti. Nessuno comprerebbe una scatola vuota. Ed è per questo che la prima asta è andata deserta. Tra i possibili acquirenti si era parlato del fondo Heritage o della società reggina System House. Alla fine però entrambe hanno desistito. Bisogna trovare degli imprenditori che abbiano il coraggio di investire al Sud. Il personale qualificato c’è già. Ci auguriamo che il governo non stia a guardare e che i media diano a questa vertenza lo spazio che merita.
Salvatore Recupero