Roma, 11 giu – “La performance dalle imprese straniere è talmente notevole da essere ai limiti della credibilità, soprattutto se si considera che il periodo analizzato è stato caratterizzato dalla più grande crisi economica vissuta dal Paese negli ultimi settanta anni”. Questo è quanto afferma Mauro Bussoni, Segretario Generale Confesercenti, commentando i dati dell’indagine condotta dall’Osservatorio della stessa Confederazione. A fine 2016, secondo quest’indagine (elaborata a partire da dati camerali, del Ministero dello Sviluppo economico e di Istat) le imprese straniere sono 571.000 con una crescita del 25,8% sul 2011. A fronte del -2,7% registrato nello stesso periodo dalle imprese italiane. Se questo trend di crescita rimanesse inalterato nel giro di cinque anni “le imprese straniere passeranno dalle 571.000 del 2016 a oltre 710.000 nel 2021”.
Ormai, le imprese straniere spadroneggiano nel commercio su area pubbliche: gli ambulanti allogeni sono circa 107.300, il 53,5% del totale. A livello macro, i settori con una quota maggiore di imprenditori di nazionalità non italiana sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio (206.767 imprese), seguito dall’edilizia (130.567 imprese) e da alloggio e ristorazione (43.683). Il boom di imprese straniere è stato particolarmente forte nelle grandi metropoli e nelle città’ d’arte: oltre un quinto degli imprenditori non italiani (il 22,5%), infatti, si concentra in soli sette centri urbani: Roma, Milano, Napoli, Palermo, Bologna, Firenze e Torino. Guardando ai numeri assoluti, è Roma la capitale dell’imprenditoria straniera, con oltre 48.413 attività non italiane, cresciute del165% negli ultimi sei anni. Seguono Milano (33.496) e Torino (16.660). Ma a registrare il tasso maggiore di stranieri è Firenze, con 7.684 imprese, il 17,3% del totale. Questi numeri, però, destano qualche sospetto anche in associazione datoriale non ostile ai fenomeni migratori. Secondo Bussoni “rimane il dubbio che molte di queste attività pratichino forme di concorrenza sleale. Un dubbio corroborato non solo dalle segnalazioni delle altre imprese, che ci arrivano in continuazione, ma anche dai dati fiscali. Nel commercio ambulante, ad esempio, risultano conosciute al fisco solo 60mila delle oltre 193.000 imprese iscritte ai registri camerali”.
C’è inoltre la questione del turn over, ossia il rapporto tra aperture e chiusure. Mediamente è il 24%, il doppio di quello delle attività italiane. In alcuni settori del commercio e dei servizi è poi ancora più elevato: è il caso dei centri benessere, in cui aperture e chiusure in un anno sono più della metà delle imprese (54%). Da spiegare anche i livelli di turnover per frutta e verdura, ambulanti, autolavaggi, attività di alloggio, ristorazione con asporto, bar, lavanderie, barbieri e parrucchieri. Come è possibile tutto ciò? Migliaia di persone che conoscono poche parole d’italiano fanno passaggi di proprietà come se fossero dei broker. È chiaro che dietro questa miriade di negozi ci sono organizzazioni che operano al limite della legalità. Purtroppo, però la magistratura non pare interessata a tali fenomeni. E forse i giudici hanno le loro ragioni. Come non ricordare il caso del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Il giudice catanese si è trovato nei guai per detto che alcune Ong aiutano gli scafisti. Non meravigliamoci, dunque, se quando le toghe sentono parlare di migranti si girano da un’altra parte. L’onda lunga della grande sostituzione travolge anche i piccoli esercenti con la complicità degli apparati dello stato che dovrebbero difendere la nazione.
Salvatore Recupero