Roma, 30 ott – Le tensioni internazionali tra Cina e Stati Uniti per il controllo dell’area estremo orientale, in specifico nel Mar Cinese Meridionale ed Orientale, rappresentano un fattore di rischio per la possibilità di un nuovo conflitto mondiale, ancora più serio rispetto agli attriti che sono nati con la Russia riguardo alla questione dell’est europeo.
La questione, spesso sottovalutata dai media occidentali ed in particolare europei, riguarda il recente espansionismo cinese in quella che viene definita Zona di Esclusività Economica (EEZ) della acque internazionali localizzate intorno ad alcuni arcipelaghi (isole Spratly, Paracelso e Senkaku) che Pechino rivendica come sottoposte alla propria ed univoca influenza nazionale.
In un recente documento del Congresso degli Stati Uniti, datato 18 settembre 2015, (Maritime Territorial and Exclusive Economic Zone (EEZ) Disputes Involving China: Issues for Congress) viene posto il problema di come arginare il fenomeno attraverso alcune linee guida che prevedono anche l’uso dello strumento militare americano in ottemperanza “al diritto internazionale di libertà dei mari e dell’uso del mare e dello spazio aereo garantito a tutte le nazioni”.
La Cina, soprattutto a partire dal 2013, rivendica la propria sovranità nell’area
Nelle isole Spratly in particolare, sta costruendo degli insediamenti artificiali per affermare con forza quello che ritene essere il proprio diritto. La politica di Pechino persegue la strategia detta “affettare il salame” intendendo il graduale incremento di azioni, nessuna delle quali si può considerare come casus belli, per cambiare lentamente ma costantemente lo status quo a proprio favore.
Questo tipo di politica sta generando apprensione nelle altre nazioni coinvolte (Filippine, Giappone, Viet Nam e Sud Corea) alcune delle quali sono alleate storiche degli Stati Uniti; per questo motivo il Ministero della Difesa ed il Congresso americano hanno delineato una nuova politica di controllo dell’area estremo orientale dopo anni in cui gli Stati Uniti avevano quasi del tutto abbandonato, con l’eccezione della penisola coreana, la sorveglianza militare del Mar Cinese Meridionale ed Orientale.
Le ragioni di questo nuovo espansionismo cinese, individuate dal documento del Congresso, sono principalmente quattro:
– Il controllo delle rotte commerciali che passano in quei mari che assicurano un traffico stimato di circa 5mila miliardi di dollari l’anno
– Il controllo delle ingenti risorse di idrocarburi presenti nell’area e dell’attività di sfruttamento ittico
– Acquisire delle posizioni avanzate in funzione di controllo militare dell’area in un possibile scenario futuro di proiezione di forza
– Un rinnovato sentimento di orgoglio nazionalista
In aggiunta a questi fattori alcuni osservatori fanno anche notare che la Cina vuole acquisire un maggior grado di controllo dell’area per creare una zona cuscinetto in modo da tenere lontano dal proprio territorio metropolitano le forze armate americane in caso di conflitto, creare un bastione marino sicuro da utilizzare per la propria forza di sottomarini lanciamissili balistici e soprattutto diventare la potenza egemone dell’area.
Pechino quindi, che nonostante la crisi ha una economia sempre in crescita e a riprova di questo è la notizia che da quest’anno è diventata la prima importatrice di petrolio del mondo, intende sostituirsi agli Stati Uniti come potenza d’area attraverso un lento e progressivo espansionismo nei mari che la circondano. Questa visione cozza non solo contro gli interessi americani, che si vedono minacciati soprattutto nelle Filippine, ma anche contro la sovranità del Giappone, che più volte nel passato recente è arrivato “ai ferri corti” per quanto riguarda le isole Senkaku. Difatti nel documento del Congresso viene ribadito che le isole sono “sotto amministrazione nipponica e ogni tentativo unilaterale di cambiare lo status quo aumenta le tensioni e non ha niente a che vedere con le rivendicazioni territoriali secondo le leggi internazionali”.
Oltre a questo particolare punto specifico gli Stati Uniti ribadiscono che le dispute tra singole nazioni devono essere risolte pacificamente secondo le leggi internazionali, che sostengono il diritto di libertà dei mari e si oppongono a chiunque voglia impedire tale diritto, che non prendono posizione ufficiale sulle varie rivendicazioni nel Mar Cinese Orientale e Meridionale ma che tali dispute debbano essere risolte pacificamente, senza coercizioni o intimidazioni, senza l’uso della forza, quindi le parti in causa devono evitare azioni unilaterali che possano pregiudicare tale principio, ma soprattutto viene sottolineato il principio che tali rivendicazioni debbano derivare da precise connotazioni geografiche, ovvero che vengano rispettati i limiti di piattaforma per stabilire la EEZ e che quindi le nazioni possano far valere i propri diritti solo su di essa, ma garantendo la libertà dello svolgimento di operazioni militari come esercitazioni o voli di ricognizione.
Il riferimento di questo ultimo passaggio va alle recenti intercettazioni di alcuni velivoli americani da parte dei caccia cinesi, che in un caso ha portato anche all’atterraggio forzato e al sequestro dell’equipaggio.
Gli Stati Uniti ovviamente non digeriscono affatto questa nuova politica della Cina
Viene difatti ammesso che “l’elemento chiave della strategia americana di lungo termine è l’obiettivo di prevenire l’emergere di una potenza regionale egemone in una parte dell’Eurasia o in un’altra, in quanto tale egemonia può rappresentare una concentrazione di forza tale da minacciare gli interessi cardine degli US tramite, ad esempio, il blocco degli accessi statunitensi ad alcune risorse e attività economiche dell’altro emisfero”, oltretutto se si dovesse cedere alle rivendicazioni cinesi, questo rappresenterebbe un pericoloso precedente per altre situazioni simili nel resto del globo.
Le contromisure americane per limitare la strategia cinese dell’ “affettare il salame” prevedono, oltre a ribadire il fermo no nei consessi internazionali alle rivendicazioni marittime, di aiutare militarmente e finanziariamente le Nazioni coinvolte (principalmente Viet Nam e Filippine) nella disputa tramite l’elargizione di 32,5 milioni di dollari per migliorare le capacità di sorveglianza marittima e cedendo due pattugliatori d’altura ex-U.S. Coast Guard classe Hamilton alle Filippine. Verranno inoltre siglati dei trattati di cooperazione con i suddetti Paesi e col Giappone che prevedono un accordo col governo di Manila per un aumento dell’accesso per le forze armate americane alle basi nelle Filippine, la cessione di un certo quantitativo di materiale bellico al Viet Nam, e l’incremento della scala delle esercitazioni congiunte che verranno effettuate nell’area.
Da ultimo il Ministero della Difesa ha espresso la volontà di “rafforzare la nostra capacità militare per assicurare che gli Stati Uniti possano efficacemente dissuadere un conflitto e coercizioni e rispondere decisivamente quando occorre”, sostanzialmente aumentando le operazioni della US Navy nella regione con l’invio di navi militari nelle acque entro le 12 miglia nautiche dei siti occupati dalle Forze Armate cinesi nel Mar Cinese Meridionale.
Il quadro che si dipinge leggendo il documento del Congresso alla luce di quanto è avvenuto e sta avvenendo in Estremo Oriente è più preoccupante di quello europeo, nonostante la crisi ucraina e l’accerchiamento della Russia con lo scudo antimissile. In particolare si evince che gli Stati Uniti non possono permettere, come esplicitamente detto nel report, il nascere di una potenza egemone nell’area perché impedirebbe il loro accesso alle risorse naturali ed economiche di cui la zona è ricca. Pertanto, così come era successo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale col Giappone, il rischio è che le trattative diventino un inutile gioco diplomatico mentre sul piano pragmatico le future azioni degli Stati Uniti, sia in prima persona che tramite gli organi internazionali, mettano i cinesi con le spalle al muro costringendoli ad intraprendere una politica sempre più aggressiva per far valere quelli che ritengono essere i loro diritti; del resto bisogna considerare che un Paese in crescita e così popoloso come la Cina avrà sempre più bisogno di risorse da controllare direttamente e per questo il grado di conflittualità con “l’imperialismo” americano non potrà che aumentare.
Paolo Mauri
1 commento
Il salame che i cinesi intendono affettare non è limitato alle zone geograficamente a loro più vicine, bensì al mondo intero, che storicamente da sempre considerano una loro dipendenza.
Una guerra USA – Cina è inevitabile !