Roma, 5 gen – Lo sappiamo tutti: stanotte, come succede ogni anno tra il 5 e il 6 gennaio, i bambini di tutta Italia appenderanno una calza al camino e lasceranno proprio lì accanto la colazione per la Befana, la vecchia strega che a cavallo di una scopa volante farà visita a tutte le case per riempire la calza di dolci, giocattoli e carbone. Il giorno della Befana è quello che chiude le feste, come dice lo stesso detto popolare “l’Epifania ogni festa porta via”. Tutti sanno che la festa dell’Epifania è legata alla manifestazione al mondo da parte del Cristo appena nato – dal greco epiphaino, mi manifesto – manifestazione che coincide con il riconoscimento regale del fanciullo divino da parte dei Re Magi in viaggio dall’Oriente zoroastriano, retaggio della mitologia mitraica a cui il cristianesimo deve molto e che portano come dono i tre signa regali: oro (il metallo puro dei Re) incenso (l’aroma che si brucia nei riti e nelle offerte agli Dei) e mirra (resina usata per scopi taumaturgici e per l’imbalsamazione, che indica l’Eternità e il superamento della morte).
Ma la Befana tanto amata dai bambini e che peraltro è una tradizione propriamente italiana molto poco diffusa all’estero, da dove viene? Come può una strega essere legata a una festa cristiana? Ovviamente dobbiamo partire dal presupposto che le feste cristiane che conosciamo siano tutte state sovrapposte a feste più antiche. D’altra parte ogni religione e ogni popolo da sempre festeggia alcuni momenti dell’anno ritenuti “magici” perché aprono – o chiudono – porte e connessioni con il mondo della natura e con il mondo sovrasensibile, quindi che ci siano sovrapposizioni e spesso coincidenze è del tutto naturale. E sono proprio le tradizioni più misteriose e antiche e ancor più spesso quelle amate proprio dai bambini, più avvezzi degli adulti a percepire il magico dietro il velo, a riportarci alle origini più arcane e profonde delle feste.
Proprio come accade con Babbo Natale, che la Chiesa ha tentato spesso con palesi forzature di collegare a San Nicola ma che proprio per la sua simbologia legata al Polo Nord, agli elfi, alle atmosfere nordiche e alle cavalcate notturne in cielo rimanda a Odino, alla Caccia Selvaggia nelle notti cosmiche, alle saghe germaniche del vecchio viandante che combatte gli spiriti maligni nella notte più lunga, la stessa cosa accade con la Befana. Dicevamo che è una strega: con questo termine a partire dal Medio Evo vennero bollate spesso le donne accusate di pratiche occulte e sataniche. Spesso per superstizione, altre volte solo per odio personale, altre per astio ancestrale verso donne che effettivamente conservavano, coscientemente o no, sapienze antiche e pre-cristiane. Il termine “strega” deriva dal greco stryx, civetta, l’animale sacro a Minerva, dea della Sapienza e ovviamente “demonizzata” in quanto divinità donna, guerriera e capace di squarciare le tenebre.
Le streghe sono sempre state immaginate nascoste nei boschi inaccessibili e “stregati” – o incantati? – e questa connotazione le ha legate ad un’altra divinità femminile di luce notturna poi demonizzata dalla Chiesa: Diana, sorella di Apollo. Non a caso alcuni culti pseudo-wicca di stregoneria new age e cialtronesca fanno di Diana la divinità delle streghe. Anche la tipica raffigurazione delle streghe volanti probabilmente deriva da alcuni miti legati a Diana. A Roma la dea, accompagnata dalle sue ancelle, volava sopra i campi nelle dodici notti sacre che seguivano il 25 dicembre per proteggere i semi e i futuri raccolti. Le stesse dodici notte sacre venivano spesso rappresentate dai Romani come dodici donne solcanti i cieli e guidate da Diana. Così come per festeggiare la fine dell’anno vecchio e l’inizio dell’anno nuovo si bruciava un’effige rappresentante appunto il ciclo appena terminato, “sacrificato” per rinascere nuovo, nella dodicesima notte – il 6 gennaio – si bruciava l’effige di una vecchia, identificata proprio con la dodicesima “donna volante” della dodicesima notte.
Spesso si faceva bruciare anche un ceppo di quercia per dodici notti e le ceneri risultanti venivano consacrate e ritenute di “buon auspicio” per i raccolti futuri, oppure messe nell’acqua poi utilizzata per lustrare i templi. In queste dodici notti la forza vitale, dopo aver attraversato il progressivo calare della Luce culminato con il Solstizio d’Inverno, inizia a risvegliarsi. O meglio muore ma lasciando alla sua morte i semi della sua futura rinascita come dono a chi l’ha accudita durante il passaggio solstiziale. È questo il senso del bruciare la vecchia donna, la dodicesima notte conclusiva del ciclo sacro – dodici infatti è il numero legato ai cicli, basti pensare allo zodiaco o alle ore del giorno e della notte – come rito di sacrificio e rinascita o quello di usare la cenere del vecchio per consacrare il nuovo.
Ecco quindi che la Befana trae le sue origini dalla Roma antica: una vecchia volante, che arriva dodici notti dopo la notte di Natale, che “porta via tutte le feste” come chiusura di un ciclo ma che porta i doni per il nuovo anno insieme al carbone – le ceneri del tizzone ardente di quercia. La stessa “romanità” della Befana fu sottolineata dal Fascismo a cui dobbiamo l’effettiva “ufficializzazione” della tradizione a livello nazionale. Il regime fascista infatti inventò la “Befana fascista” che regalava doni ai bambini delle famiglie più povere, trasformandola da tradizione tipica del centro Italia in una festa conosciutissima in tutta la nazione. Fu proprio il Fascismo a trasformare la vecchia e conosciutissima filastrocca “La Befana vien di notte/con le scarpe tutte rotte/il vestito alla Romana/viva viva la Befana”. Pare infatti che prima del Ventennio la filastrocca dicesse “con le toppe alla sottana” al posto di “vestito alla Romana”.
Non vi fate quindi ingannare da chi disprezza o guarda con la puzza sotto al naso la Befana come fosse una sciocca superstizione folkloristica. Preparate anche voi la calza e accogliete i doni di chi per dodici notti ha solcato i cieli. Lasciate che siano solo coloro che vogliono dimenticare la nostra eredità ancestrale, romana ed europea a “morire” spiritualmente in questa dodicesima notte dimenticando le nostre feste. Per loro non ci sarà neanche il carbone.
Carlomanno Adinolfi