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Marco Travaglio: fenomenologia del “Grande Inquisitore”

by Emmanuel Raffaele
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marco travaglio fotoLondra, 26 mar – Parte come non avremmo mai voluto partisse lo spettacolo teatrale di Marco Travaglio al Leicester Square Theatre di Londra: un minuto di silenzio per gli attentati avvenuti poche ore prima a Bruxelles. Dopo di che “Slurp!”, recital che prende spunto dall’omonimo libro del direttore de “Il Fatto Quotidiano”, pubblicato da Chiarelettere nel 2015, prende il via e va in scena Mussolini. Proprio lui, il Duce, che evidentemente non passa mai di moda. D’altronde, al momento di accedere in sala, controllo del biglietto e poi ti ritrovi in mano l’invito a trascorrere il 71° anniversario della “liberazione” al “Marx Memorial Library” insieme ai partigiani dell’Anpi, onnipresenti anche a Londra, per la proiezione – in occasione degli ottant’anni della guerra civile spagnola – del documentario di Daniel Burkholz, “No Pasaran”. Per Travaglio, sedicente anticomunista, nessun problema. Presenza istituzionale annunciata, non nuova alle iniziative antifasciste, Giulia Romani, console presso il Consolato Generale d’Italia a Londra.

Partigiani a parte, Travaglio parte con Mussolini ma prende di mira Renzi e, insieme all’attrice Giorgia Salari, fondamentale nel dare consistenza scenica allo show, danno lettura delle cronache giornalistiche in maniera alternata sul Duce e poi su Renzi, sottolineando le forzature da parte dei giornalisti di ieri e di oggi nel descrivere le doti insuperabili dei potenti. Con la differenza, aggiunge Travaglio, che Benito Mussolini, quanto meno, non mancò di segnalare personalmente alcuni eccessi ai diretti interessati. “Il giornalista italiano”, racconta il cronista piemontese dal palco, “non cambia idea, cambia direttamente padrone” e la funzione dei giornali in Italia è pressoché una sola: “coprire le menzogne dei potenti”. “Dopo il crollo della Dc”, prosegue, “ci fu una vera e propria transumanza, tutti diventarono comunisti, poi passarono con Craxi, poi coi magistrati di Tangentopoli”, e così via con Berlusconi, Prodi, Letta e, infine, Renzi. “Il giornalista italiano”, osserva, “è un sottoprodotto dell’intellettuale nato a corte”. Cita Sofri, Capanna, Scalfari insospettato sostenitore di Craxi, Vespa e Feltri al tempo de “L’Indipendente”, entrambi infatuati di Di Pietro e della magistratura. E cita, soprattutto, Giuliano Ferrara, il bersaglio preferito che, con i suoi ripetuti cambi di casacca, dalla sinistra extraparlamentare al tintinnio delle manette di “Mani Pulite”, dal berlusconismo estremo agli elogi per tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, finisce per rappresentare un po’ l’intera categoria di quelli che definisce “scudi umani a mezzo stampa, il cui segreto è non avere una reputazione”.

Giornalisti di regime, pronti sempre a saltare sul carro del vincitore, con una “prosa zuccherosa” che non lesina odi a chi detiene il potere in cambio delle briciole e che, per farlo, non si limitano a distorcere la verità, ma all’occorrenza la inventano. Quanto all’informazione ed alla sua collusione col potere, è indubbio che Travaglio centri il bersaglio, basti pensare all’intoccabilità dell’ex presidente della Repubblica Napolitano, autore di un vero e proprio “golpe bianco” secondo il giornalista divenuto noto ai più in seguito al cosiddetto ‘editto bulgaro’ lanciato da Berlusconi per allontanare dalla televisione pubblica i suoi ‘avversari’. Anche su Berlusconi e gli interessi personali che ne hanno segnato la linea politica, coperta da un finto idealismo pronto a mutare in base ai sondaggi ed a strategie da piazzista della politica, del resto, ci aveva visto bene. Senza timore di apparire complottista accenna all’esistenza di “poteri che governano occultamente l’Italia”. Ma, proprio il piedistallo su cui continua a porsi, è divenuto col tempo il peggior nemico di se stesso. Dal momento che anche lui che fa continuamente la morale a tutti, dal punto di vista della coerenza politico-giornalistica, di certo un santo non è.

Passi il metodo, spesso più vicino alla satira che al giornalismo e che mal compensa il cattivo gusto del servilismo con la pessima abitudine degli insulti personali molto poco professionali. Non è, infatti, soltanto una questione di stile. Col pallino delle intercettazioni da sempre, nel ’97, per il settimanale di destra “Il Borghese” curò la pubblicazione delle intercettazioni tra i militanti di Lotta Continua, organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra coinvolta nella morte del commissario Calabresi. Intercettazioni che coinvolgevano, tra l’altro, personaggi come Gad Lerner e Giuliano Ferrara, in seguito all’arresto di Sofri. Ebbene, tra i firmatari dell’appello che fornì i fondamenti ‘ideologici’ del suo omicidio, a causa delle presunte responsabilità sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, c’era anche la scomparsa Franca Rame, in prima linea insieme al marito Dario Fo nel “soccorso rosso” a difesa dei terroristi di sinistra. Nonostante questo, il giornalista sprizza stima per lei da tutti i pori, vantandosi in diverse occasioni della sua amicizia e dedicandogli un ‘coccodrillo’ che è un’ode a lei, “la più bella”, “Francuccia”. La definisce “maestosa, smagliante e fiera” e ricorda, peraltro, come considerasse cosa propria il giornale da lui diretto. Nel caso di Franca Rame, evidentemente, il rispetto per le istituzioni è passato in secondo piano rispetto all’antiberlusconismo.

Del resto, anche il giornale del quale è tra i fondatori, per il quale la Costituzione è una sorta di mantra intoccabile manco fosse legge divina, proteso ad un giustizialismo ‘manettaro’ estremamente integralista, è dalla parte delle istituzioni soltanto quando gli conviene. Lo scorso febbraio, ad esempio, nel dare la notizia di un’informativa del Viminale ad uso giudiziario sul conto di CasaPound, improvvisamente l’evidenza dei fatti accertata dai pubblici uffici, ovvero l’uso sistematico della violenza da parte degli antifascisti ed il coinvolgimento dunque forzato del movimento negli scontri, a tutela della propria libertà, suscitava non poca ironia da parte del suo collaboratore. In casi simili gli organi inquirenti non vanno più bene. Se la polizia dichiara che CasaPound si muove “nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo a illegalità e turbative dell’ordine pubblico”, il giornale di Travaglio ha un impulso irrefrenabile e irrazionale a schierarsi dall’altra parte. “Vengono del tutto rimossi”, si legge sul quotidiano diretto dal giornalista piemontese, “i loro tratti violenti, xenofobi e caparbiamente nostalgici. Il termine ‘fascismo’, per dire, non viene mai in quelle seimila battute. E per non dire ’dittatura’, nell’informativa si ricorre all’eufemistico e neutro ‘Ventennio’, di cui si dà acriticamente atto della possibilità di rivalutarne ‘gli aspetti innovativi di promozione sociale’. Alcuni passaggi sono illuminanti e danno l’impressione di una esplicita approvazione”. Scandalo, insomma, come se la verità, pur senza nessuna argomentazione contraria, debba per forza stare dall’altra parte. Le accuse arbitrarie di violenza e xenofobia, evidentemente, non danno troppo fastidio al buon Travaglio, per il quale, d’altronde, non è mai stata indispensabile una condanna o un giudizio definitivo per accusare qualcuno. Un’intercettazione qua, una ‘soffiata’ di là, un’imboccata dalla questura o dall’amico magistrato sono molto spesso più che sufficienti. Una strategia del fango che, anche con il movimento dei ‘Fascisti del Terzo Millennio’ appena citato, il suo giornale ha puntualmente usato, sparando senza problemi persino titoli come questo: “Napoli, 10 arresti tra estremisti di destra. Volevano violentare una ragazza ebrea”. Peccato che questa accusa, come altre riprese dai giornali quasi fossero verità accertate, si sia poi rivelata farlocca. Ma quando si tratta di restituire il favore, il clamore stranamente scema.

“È un Grande Inquisitore, da far impallidire Vyšinskij, il bieco strumento delle purghe di Stalin”, diceva di lui Indro Montanelli, considerato una sorta di maestro da Marco Travaglio, “non uccide nessuno. Col coltello. Usa un’arma molto più raffinata e non perseguibile penalmente: l’archivio”. Quando, però, sono i giornalisti berlusconiani ad usare lo stesso strumento, allora la tattica si trasforma subito in “dossieraggio”, “killeraggio” e così via. In merito ai recenti attentati, ha scritto: “Se fossero esseri raziocinanti e non macellai fanatici, verrebbe il sospetto che questi terroristi in franchising sotto la sigla Isis facciano le stragi apposta per far uscire il peggio della nostra cosiddetta civiltà superiore. Tipo Salvini o Gasparri”. Senza difendere Salvini (e tanto meno Gasparri), ma unirsi al coro dello sciacallaggio e poi non dire una parola e considerare normale chi pretende di rispondere al terrorismo con le frontiere aperte non appare così imparziale come lui ama mostrarsi.

Anticomunista cattolico, come lui stesso si è definito in diverse occasioni, si definisce un liberale alla Einaudi o De Gasperi, salvo poi dichiarare il voto per partiti come L’Italia dei Valori, l’esperimento politico fallito di Ingroia, Rivoluzione Civile, o per il Movimento 5 Stelle, che certo col pensiero liberale ha poco a che fare e che hanno certamente poco a che fare anche con le posizioni politiche di figure passate alla storia come Reagan negli Stati Uniti o la Thatcher in Gran Bretagna, per le quali l’acerrimo nemico di Berlusconi ha comunque espresso la sua fascinazione politica. Oggi sparla della Lega e dei suoi elettori, ma ha ammesso di aver votato anche loro alle elezioni politiche del 1996, in chiave antiberlusconiana. Ha il vezzo non troppo ostentato (visto che il suo pubblico è praticamente di sinistra) di definirsi di destra, ma dal liberalismo al giustizialismo manettaro appiattito sulle posizioni di magistrati e giudici di strada ne corre ed è difficile trovare un filo logico. La sua destra, ammette, semplicemente “non esiste. È immaginaria”. E di questo, in effetti, non ne dubitiamo.

Emmanuel Raffaele

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