Roma, 20 lug – È uscito ieri Contro l’eroticamente corretto, il quarto saggio di Adriano Scianca, giornalista e direttore del Primato Nazionale. Si tratta di un libro che affronta un nodo di tematiche cruciali nella società odierna: dall’ideologia gender al femminismo, dalle questioni legate al mondo gay ai diversi ruoli sociali di uomo e donna. E ancora: famiglia, amore, sesso, pornografia etc. Abbiamo intervistato l’autore per saperne di più.
Questo libro sembra il naturale prosieguo di Identità Sacra: mantenere salda ed essere fedeli alla propria identità di genere come ulteriore e necessaria via per mantener saldo il Nesso di Civiltà.
E infatti in origine doveva essere proprio un capitolo di quel libro, poi è stato estratto e ampliato, fino a divenire un saggio a sé. È evidente che l’uomo senza genere corrisponde all’uomo senza razza, senza cultura, senza identità. Decidere a tavolino se si è maschio, femmina, pansessuale o genderfluid è come stabilire burocraticamente se si è italiano o ugandese, come vorrebbe lo ius soli attualmente in discussione. Viceversa, la famiglia pensata in senso romano e non borghese, è una vera e propria istituzione comunitaria, un dispositivo di trasmissione simbolica e di custodia del sacro e dell’identità. Quindi sì, le problematiche di questo libro si sovrappongono spesso e volentieri a quelle del libro precedente.
Da un certo punto di vista sembra quasi che l’ideologia gender sia una specie di religione millenarista, che promuove un’utopia prossima ventura annunciata e inevitabile che rappresenta il bene assoluto e indiscutibile di cui i suoi araldi sono i depositari e i cui propugnatori non ammettono alcun tipo di obiezione in quanto chiunque osi obiettare è solo un razzista, omofobo, oscurantista, insomma il male assoluto.
I teorici del gender hanno come prima preoccupazione quella di negare l’esistenza dell’ideologia di cui si fanno portatori. Poi nei titoli dei loro libri troviamo inviti alla “sovversione dell’identità” (Judith Butler), che come noto è un obbiettivo assolutamente neutro e non ideologico… Ad ogni modo, la logica è chiara: secondo loro non esistono due posizioni in campo che debbano confrontarsi dialetticamente, esiste il bene e i nemici del bene. La chiave è la parolina magica, “diritti”. Esiste chi è per i diritti e chi è contro. Ma essere contro i diritti è considerato delinquenziale. È una dinamica che non si riscontra solo nel gender, ma in tutti i dibattiti contemporanei: c’è una pericolosa voglia di una direzione unica e obbligata…
Sul sesso, sui rapporti interpersonali, sui legami in generale condanni la vacua e non meglio definita “ricerca delle felicità”. I figli sono un diritto perché bisogna essere felici ma allo stesso tempo sono un peso che allontana la donna dalla sua felicità individuale, lo stesso discorso vale per il partner, per la famiglia, per lo stato eccetera. Questo individualismo mollemente edonistico che atomizza l’essere umano slegandolo dalle sue responsabilità può essere un colpo ferale al concetto stesso di civiltà?
Nella nostra società si è perso completamente il senso dell’oggettività delle cose, non c’è più alcuna visione d’insieme né alcun senso di responsabilità verso la propria comunità. C’è solo il singolo e la sua sensibilità da tutelare. È ovvio che, in quest’ottica, fare figli diventa una pratica incomprensibile, vista la mole di sacrificio che comporta. Oppure li si fa, ma solo perché sono così teneri e si cerca qualcuno su cui riversare il proprio amore. Ma allora non è chiaro perché non vadano dati anche ai gay: loro, forse, non sono capaci di amare? L’individualismo è un piano inclinato, non ci si può fermare a metà. Una civiltà è invece un qualcosa che supera l’individuo, e così facendo lo valorizza, ma allo stesso tempo lo limita. È fatta di diritti, ma anche di doveri. È fatta di obblighi verso i discendenti e gli ascendenti.
Così come condanni la teoria gender lanci serie bordate anche alla cosiddetta “famiglia tradizionale” che spesso è solo un simulacro borghese e bigotto allo stesso modo dei trinariciuti genderisti. A questi contrapponi un modello familiare tipicamente indoeuropeo, incentrato sulla figura del pater familias come perno del Nesso di Civiltà e rappresentazione della verticalità, e non semplice cellula a sua volta atomizzata e scollegata dal resto della società ma anzi nucleo fondamentale che garantisce la stirpe e costituente primo del clan, quindi della tribù e quindi della nazione intera.
Questo aspetto è molto importante, perché se è facile raccogliere consensi illustrando le follie femministe, meno scontato è capire in nome di cosa lottiamo, quando attacchiamo quella ideologia. Molti credono che si stia semplicemente difendendo qualcosa che è qui, che esiste, che funziona. Insomma, esiste la “famiglia tradizionale”, depositaria dei valori, ed esiste l’assalto della sovversione contro di essa. Io non la vedo così e credo anzi che il nostro modello familiare sia corresponsabile di molti dei mali odierni. Il modello indoeuropeo e, nello specifico, romano, ha tutt’altra dimensione, poiché si tratta di una struttura comunitaria molto ampia, che innerva e sostiene la Res Publica, di cui trasmette i valori. Per dirla con Hegel, la famiglia è la forma di eticità immediata, che però deve trovare la sua sintesi nell’eticità perfetta, ovvero nello Stato. Non è invece un caso se gli esponenti del Family Day tendono spesso a opporre la famiglia allo Stato…
A questa battaglia contro l’eterosessualità che sta coinvolgendo il cosiddetto “mondo occidentale” segue inevitabilmente anche un drastico crollo delle nascite. Può rientrare tutto questo, anche pur inconsciamente, nel discorso della Grande Sostituzione?
Ma certo. Non esistono popoli, comunità, identità. C’è solo un individuo che disegna se stesso a tavolino secondo i capricci del momento. Del resto l’ideologia gender ha come fine l’annullamento delle differenze, che è anche l’obbiettivo della Grande Sostituzione: basta uomini e donne, in fondo siamo tutti “persone”, no? Basta con francesi, italiani, congolesi e cinesi, siamo solo “umani”. Si tende verso il Medesimo. E il il Medesimo è anche, per definizione, il Sostituibile.
In questo neo-matriarcato sbandierato come società futura utopica in cui si denigra o addirittura si condanna la figura del padre, inevitabilmente anche la figura della madre viene deformata e svilita. Vogliamo chiarire una volta per tutte che questo “eterno gineceo” oltre che all’uomo nuoce gravemente anche alla donna e che combatterlo non è un semplice “rigurgito maschilista”?
Sono Parlamenti, redazioni di giornali, istituzioni ancora a larga maggioranza maschile a sdoganare pratiche che umiliano il maschio e il padre, credo che questo sia significativo. Del resto lo stesso femminismo radicale è un fenomeno per minoranze ideologizzate, la maggioranza delle donne si guarda bene dal seguire simili deliri. E fa bene, perché sono dinamiche solo fintamente pro-femminili. Oggi la donna viene colpevolizzata se poco poco riproduca un modello familiare “tradizionale”, viene “tutelata” con leggi ad hoc come se fosse incapace di autodeterminarsi, viene artificialmente spinta al conflitto col maschio, viene svuotata della sua femminilità con la proposizione di modelli androgini, prosciugati, austeri, viene ridicolizzata con le campagne boldriniane sulle desinenze, viene spossessata della sua identità in una eterna quanto inutile imitazione dell’uomo. Del resto mi sembra che il femminismo faccia molto spesso ciò esso rimprovera agli uomini: dire alle donne cosa devono pensare e come devono vivere, anche se non vogliono farlo.
Nei primi capitoli del libro parli di questo tentativo morboso di affermare la neutralità, di eliminare le differenze di genere in nome di uno stato indifferenziato e pre-natale. Più avanti dici che questa caratteristica è tipica dell’era della Big Mother, la caricatura della Grande Madre. Una madre che di fatto evira e che tenta di abbracciare e inglobare in maniera quasi cannibalesca nel proprio ventre riportando a una dimensione senza forma, indifferenziata appunto, che filosoficamente ricorda molto la chora di Platone o la ule di Plotino: la materia indifferenziata non ancora “toccata” dalla luce divina che dà appunto forma. Questa divinità matrigna e cannibale che riporta a una oscurità abissale pre-esistenziale totalmente svuotata da ogni principio divino ricorda molto la Kali che dà il nome al kali-yuga…
Big Mother è un idolo “accogliente” e crudele al tempo stesso. Rispetto alla Grande Madre della preistoria pre-indoeuropea ha anche un aspetto anti-umano che richiama piuttosto analoghi culti mediorientali. Ricorda, del resto, certe madri ansiose e paranoiche di oggi che, per “proteggere” dal mondo i propri piccoli, poi finiscono per ucciderli. Quindi, in qualche modo, è alla fin fine la negazione stessa della vera cura materna, che per funzionare deve saper trovare un limite nella legge paterna, che a un certo punto strappa il bambino alla madre e lo innalza al cielo, mettendolo a confronto con ciò che è sopra e al di là di esso, col cielo e col mondo. È esattamente a questo punto che il nostro meccanismo culturale si è inceppato. Le conseguenze, purtroppo, sono incalcolabili.
A cura di Carlomanno Adinolfi
1 commento
[…] indifferenziata e omogenea quando invece questo mondo sembra più quello caro ai fanatici della Big Mother e dell’antifascismo […]