Roma, 24 mar – Dario Fo compie 90 anni. Nato a Sangiano, nel Varesotto, il 24 marzo 1926, l’attore, regista, scrittore, pittore e già premio Nobel per la letteratura (ricevuto nel 1997) viene in queste ore celebrato da tutto il mondo della cultura ufficiale. Il Primato nazionale, che di questo mondo non fa parte, vuole tuttavia associarsi alle celebrazioni, ricordando però non il Fo 90enne, non il Fo cinquantenne dei favolosi anni ’70, quello che aiutava stragisti grazie al suo Soccorso Rosso, bensì il Fo 17enne, quello che si schierò con la Repubblica sociale italiana.
La storia è sin troppo nota, ma fa sempre piacere ricordarla. Anche perché c’è stato un periodo in cui erano in pochi a ricordasela. Tra questi, nel 1964, Giorgio Pisanò, che però era un fascista non pentito, a differenza dell’ex camerata destinato a cotanta carriera, quindi nessuno gli volle dar credito. Il caso scoppiò dieci anni dopo, nel 1975, quando Giancarlo Vigorelli ne parlò su Il Giorno. Fo, che è sempre stato uno sportivo, lo querelò. La vicenda venne messa a posto con una rettifica. Sul Giorno si leggeva quindi che Dario Fo “viveva all’interno di una famiglia nota per l’attivo impegno nella lotta partigiana e fu partecipe personalmente di questo impegno allora e in seguito. La sua momentanea e forzata presenza nella sezione addestramento della contraerea dell’aeronautica di quel tempo, senza la partecipazione ad alcuna azione militare, seguita da diserzione, non implicò quindi alcuna adesione su nessun piano, ad una concezione ideologica che egli ha da sempre combattuto con impegno militante”. Presenza “momentanea e forzata”, quindi. Ma presenza ora ammessa anche dall’interessato, se non altro. Era già qualcosa.
Nel 1977 un piccolo giornale chiamato Il Nord ritirò fuori la storia. Dario Fo, non contento, fece ancora querela. Stavolta partì un processo, che si svolse a Varese. Nel frattempo, il giornalista Luciano Garibaldi pubblicava su Gente le fotografie di Fo in divisa repubblicana. Al che l’attore se ne uscì con un vero colpo di teatro: aderì alla Rsi, certo, ma… come infiltrato dei partigiani. Geniale. La tesi era questa: il padre stava nella Resistenza, bisognava evitare di generare sospetti, e comunque l’arruolamento fu deciso insieme ai partigiani, con cui continuò a collaborare. Peccato che l’ex comandante partigiano Giacinto Domenico Lazzarini, un vero e proprio mito per Fo, lo sbugiardò senza ritegno: “Le dichiarazioni di Dario Fo destano in me non poca meraviglia. Dice che la casa di suo padre era a Porto Valtravaglia, era un ‘centro’ di resistenza. Strano. Avrei dovuto per lo meno saperlo. Poi dice che ‘era d’accordo con Albertoli’ per raggiungere la mia formazione. Io avevo in formazione due Albertoli, due cugini, Giampiero e Giacomo. Caddero entrambi eroicamente alla Gera di Voldomino e alla loro memoria è stata concessa la medaglia di bronzo al valor militare. Forse Fo potrà spiegare come faceva ad essere d’accordo con uno dei due Albertoli di lasciare Tradate nel gennaio 1945, quando erano entrambi caduti quattro mesi prima. Senza dire, poi, che i cugini Albertoli erano tra i più vicini a me e mai nessuno dei due mi parlò di un Dario Fo che nutriva l’intento di unirsi alla nostra formazione […] Se Dario Fo si arruolò nei paracadutisti repubblichini per consiglio di un capo partigiano, perché non lo ha detto subito, all’indomani della Liberazione? Sarebbe stato un titolo d’onore, per lui. Perché mai tenere celato per tanti anni un episodio che va a suo merito?”.
Dopo queste dichiarazioni, Lazzarini fu chiamato a testimoniare nel processo di Varese. Fo, dopo un acceso confronto, lo denunciò per falsa testimonianza. Il 15 febbraio 1979 il processo si concluse con una sentenza che assolse per intervenuta amnistia il direttore de II Nord. Nella sentenza fu però scritto: “È certo che Fo ha vestito la divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. Lo ha riconosciuto lui stesso – e non poteva non farlo, trattandosi di circostanza confortata da numerosi riscontri probatori documentali e testimoniali – anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario sostenendo di avere svolto la parte dell’infiltrato pronto al doppio gioco. Ma le sue riserve mentali lasciano il tempo che trovano”. E ancora: “Deve ritenersi accertato che delle formazioni fasciste impegnate nell’operazione in Val Cannobina facessero sicuramente parte anche i paracadutisti del Battaglione Azzurro di Tradate. ( … ) Non è altrettanto certo, o meglio è discutibile, che vi sia stato impiegato Dario Fo. Ma (…) la milizia repubblichina di Fo in un battaglione che di sicuro ha effettuato qualche rastrellamento, lo rende in certo qual modo moralmente corresponsabile di tutte le attività e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare. È legittima dunque per Dario Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore”. La sentenza non fu appellata e dunque è definitiva. A questo punto, Fo cambierà versione efino a oggi continuerà a ripetere: “È cosa nota, ma l’ho sempre ammesso”. Certo, ci sono volute solo due querele a giornali (una al Giorno e una al Nord), due denunce (una all’ex partigiano Lazzarini, una all’ex Rsi Carlo Maria Milani) e un anno di processo.
Giorgio Nigra
6 comments
Dario Fo è uno dei personaggi più squallidi della repubblichetta italiana. Un cialtrone da avanspettacolo, assunto a cantore degli “oppressi” ovvero i reietti umani, che grazie all’egemonia culturale sinistrosa e liberale europea ha potuto erigersi a maestro, le sue storielle premiate con il premio Nobel (con la conclusione che questo premio e in realtà un trofeo di cartapesta)
Lui e la moglie hanno aizzato, hanno coperto i torturatori con le chiavi inglesi, con le P38, giocavano alla rivoluzione e nel frattatempo facevano la bella vita nei salotti mondani, lasciando ai loro utili idioti il lavoro sporco!
E’ solamente un pagliaccio lugubre e infame
Non tutti hanno avuto il coraggio di testimoniare la propria militanza dopo la sconfitta. E tanti si sono arruolati di qui o di la solo perche’ nell’area di competenza degli uni o degli altri. Sarebbe gia’ stata una giustificazione piu’ accettabile. Walter Chiari fini’ nella Waffen SS, non so se volontario o obbligato. Ma la negazione a tanti anni di distanza e’ proprio da vigliacchi. Se danno il Nobel a uomini come questi, allora e’ chiaro di quali virtu’ devono essere portatori. L’uomo e’ esattamente il modello ideale per il nostro dopoguerra, sara’ per questo che e’ stato premiato, o fa parte anche lui della solita consorteria ? Il sottoscritto ha militato nella Folgore in tempi decisamente molto meno difficili, ma ha fatto a tempo a conoscere uno dei pochi sopravvissuti di El Alamein. Proprio un altra cosa. Se non ricordo male anche Giorgio Albertazzi e’ stato volontario nella Milizia. Mi pare persona molto piu’ decorosa di Fo.
Un bastardo cacasotto che sopravvive ai suoi misfatti assassini.
Puo’ anche starci di cambiare ideali crescendo e vedendo il mondo di prima che ti crolla addosso. E’ grave invece rinnegare il proprio passato
Da vivo o da morto rimane sempre uno squallido guitto.
piano piano scompaiono anche i traditori