Diciamolo serenamente e senza girarci troppo intorno: Benito Mussolini vende. E non solo gli accendini o gli altri orribili ninnoli che si possono ordinare in Rete o acquistare direttamente a Predappio. Mussolini vende perché è una miniera d’oro. Soprattutto per gli antifascisti. Basta chiedere ad Antonio Scurati che, grazie a Sua Eccellenza, ha addirittura vinto un Premio Strega. Perché l’antifascismo va benissimo: è la pietra fondante della repubblica-nata-dalla-resistenza (da pronunciare rigorosamente tutto d’un fiato). Ma i soldi mica puzzano, direbbe Vespasiano, l’imperatore che spremeva sesterzi persino dagli orinatoi.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di gennaio 2022
Lo sa bene anche Bruno Vespa, che con il Duce ha un rapporto molto speciale (sarà per questo che gira la diceria, ovviamente falsa, che sia un suo figlio naturale). Altro che Porta a porta. Il buon Vespa avrebbe potuto chiamare il suo celebre programma Da Mussolini a Mussolini: con i suoi libri sul Duce, infatti, ci hanno diboscato mezza Amazzonia (e sì che ora c’è pure penuria di carta). Per rimanere alle sue ultime fatiche: nel 2020 ha pubblicato Perché l’Italia amò Mussolini; un paio di mesi fa, forse per rimediare, Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando). Senza il nome di Sua Eccellenza nel titolo, del resto, la lustrata di natiche all’attuale premier sarebbe passata del tutto inosservata.
Il fascino segreto di Mussolini
Come spiegare, però, questo fatto quasi più unico che raro di un popolo che maledice il suo «tiranno», ma poi ne rimane segretamente affascinato? Azzardiamo una risposta: nonostante decenni di demonologia antifascista, la maggioranza degli italiani ha un’opinione del Duce prevalentemente benevola. Ma non si tratta solo di forme barocche di nostalgismo. O, peggio, dei pagliacci che vanno in pellegrinaggio in Romagna con il fez e l’orbace (spesso macchiato di ragù, come da rigoroso cerimoniale predappiano). No, non è questo: l’immagine che l’italiano medio ha di Mussolini è quella del buon padre di famiglia che ha aiutato la povera gente, ha rimesso in riga un popolo tradizionalmente indisciplinato e, in generale, ha fatto molte cose buone (tipo la bonifica e le pensioni), ma poi purtroppo si è alleato «con quel pazzo di Hitler». A ben vedere, si tratta di un’interpretazione sostanzialmente apolitica. Quindi, di che preoccuparsi?
E invece un problema c’è: gli antifascisti ci rosicano da morire. Anche perché le loro prebende e le loro rendite di posizione si fondano, in ultima istanza, sulla demonizzazione di Benito Amilcare Andrea Mussolini. E se il meccanismo fa cilecca, sono dolori. È proprio per questo motivo che, negli ultimi anni, la sinistra ha sviluppato una nuova strategia. Usciti con le ossa rotte dalla stagione del «revisionismo storico», i gendarmi della memoria si sono dati alla letteratura e al fact-checking. E a occuparsi del fascismo non sono più gli esperti, cioè gli storici di professione, bensì i romanzieri e gli «sbufalatori».
Miserie dell’antifascismo
I frutti di questa nouvelle vague sono perlopiù esilaranti. Torniamo a Scurati e al suo M: il figlio del secolo. Lo scrittore aveva sparato alto: «L’antifascismo non regge più ai tempi nuovi, […] va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo», aveva annunciato in pompa magna. Peraltro, assicurava, «mi sono assegnato un criterio rigidissimo, nessun personaggio, accadimento, discorso o frasi narrati nel libro sono liberamente inventati». Senonché, una volta stampato il romanzo, si è scoperto che era zeppo di errori storici. Tanto che Ernesto Galli della Loggia ha prontamente demolito il povero Scurati sulle colonne del primo quotidiano d’Italia: «Non si tratta di errori qualunque», spiegava l’accademico sul Corriere. «Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere alcuni punti di riferimento essenziali». Una bocciatura su tutta la linea.
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Ma se con Scurati siamo ancora nell’ambito della narrativa, dove ci si può sempre salvare in corner appellandosi alla licenza poetica, ben più magra figura ci hanno fatto i sedicenti fact-checker. Il loro obiettivo era semplice: dimostrare l’infondatezza della credenza popolare sul Mussolini che «ha fatto anche cose buone» (tipo le pensioni, le bonifiche, la lotta alla mafia, i treni in orario e così via). Per comodità, vi riassumo i risultati di cotanta impresa: questi luoghi comuni su Mussolini e il fascismo sono effettivamente infondati, perché a fine Ottocento un paio di impiegati statali hanno ottenuto la pensione, lo Stato liberale prefascista una volta ha bonificato una pozzanghera e, dulcis in fundo, pare che durante il Ventennio i treni non arrivassero sempre in orario.
Se faticate a crederci, vi consiglio di leggere il pregevole articolo Mussolini e le cose buone che non ha mai fatto, uscito su Open, la tana degli «sbufalatori» di Enrico Mentana, oppure il libercolo di Francesco Filippi Mussolini ha fatto anche cose buone: le idiozie che continuano a circolare sul fascismo. Ai segugi di Open ha risposto Francesco Carlesi sul quotidiano online del Primato Nazionale con un contributo magistrale (che vi invito a gustare). A Filippi, seppur indirettamente, ha risposto sempre Galli della Loggia: «Si può e si deve tranquillamente ammettere che, sì, il fascismo fece anche delle cose buone», ha scritto sul Corriere lo scorso 31 ottobre. Del resto, ha precisato, «negare la realtà non ha mai fatto bene a nessuno: tradisce solo un’intima insicurezza nelle proprie idee e nei propri valori». Amen.
Il complesso di Edipo
Com’era prevedibile, queste operazioni dal fiato corto non hanno sortito alcun effetto sugli italiani. E non perché abbiamo a che fare con una strategia culturale da pezzenti. Non è la qualità (scadente) di queste ricerchine a fare la differenza. Se anche avessero mobilitato fior di intellettuali al posto degli sbufalatori (che tra l’altro stanno sulle palle a tutti), non sarebbe cambiato nulla. L’immaginario collettivo non si ridisegna a tavolino. Figurarsi se a farlo sono persone simpatiche come Scanzi e Saviano. Può sembrare un paradosso ma, a ben vedere, non…
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altro che questi quattro frocioni di politici che abbiamo oggi
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