Roma, 12 ott – In un recente intervento sulle colonne del Corriere della Sera, Sergio Romano, noto giornalista e storico, esprime una forte critica sugli indirizzi della politica americana che non coinciderebbero più con quelli della Nato ed in particolar modo dell’Italia.
Cogliamo quindi l’occasione per fare alcune riflessioni sull’attuale situazione del Paese che vede ancora la presenza, ad un quarto di secolo dalla fine della Guerra Fredda, di alcune basi americane e Nato.
Innanzi tutto occorre fare una precisazione, come fa sapere il generale dell’Aeronautica Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’AM dal 2004 al 2006: i termini Nato e Usa sono usati con troppa disinvoltura dalla stampa non specializzata e dalla vulgata quando si parla di basi.
Non sono sinonimi, tantomeno a livello giuridico non hanno la stessa valenza. Le regole di ingaggio Nato sono infatti diverse da quelle americane e le stesse installazioni militari sul territorio italiano sono a tutti gli effetti sotto la sovranità dello Stato Italiano, ma concesse in uso secondo specifici accordi.
Il generale ritiene che, piuttosto, occorrerebbe vigilare con più attenzione sull’applicazione di tali accordi, e non possiamo che concordare con quanto detto, anche alla luce dei recenti avvenimenti in medio oriente e di quanto sta accadendo in Ucraina, sebbene il riferimento, indiretto ma ripreso da Romano, sia alla tragedia del Cermis.
In quella particolare occasione, oltre a vedere prevaricata la nostra legittima autorità a vedere processati in Italia i piloti del EA-6B “Prowler” che tranciarono il cavo della funivia causando 20 morti, il volo stesso venne inserito illegalmente dall’Usaf nei voli giornalieri della base di Aviano pur di poter operare con le regole più semplici che si applicano all’interno della Nato.
“L’episodio del Cermis dimostra, insieme ad altri, che gli accordi sono meno importanti del peso dominante degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza” sostiene lo storico del Corriere, e non possiamo che essere d’accordo con lui.
La storia d’Italia degli ultimi 70 anni è piena di altri casi in cui la nostra sovranità è stata letteralmente calpestata dall’alleato di oltre Atlantico che usa le sue basi sul nostro territorio per conseguire i propri interessi che spesso sono diversi sia da quelli dell’Alleanza che dai nostri: il caso recente della Libia è lì a dimostrarlo una volta di più.
Abbiamo fornito supporto logistico e tattico per rovesciare il governo di Gheddafi con il quale avevamo un rapporto privilegiato in ambito commerciale e non solo: oltre ad avere l’Eni partner principale per l’estrazione e la distribuzione degli idrocarburi (percentuale ora ridotta con l’ingresso dei francesi di Total), la nostra diplomazia aveva stipulato accordi con la Libia per il controllo dei flussi migratori. Accordi che, numeri alla mano, erano efficaci.
Quello che è successo, e sta succedendo, in Libia ed in Italia dopo l’intervento anglo-franco-americano è sotto gli occhi di tutti.
Fatto salvo il raro caso di quella che viene definita “crisi di Sigonella” nel 1985 in occasione del sequestro della nave “Achille Lauro” siamo sempre stati subalterni agli Stati Uniti.
Sergio Romano ritiene quindi che si debbano rivedere gli accordi sulle basi, ed è molto esplicito in merito: “Non credo che l’Italia possa continuare a ospitare sul proprio territorio senza qualche necessario aggiornamento alcune enclave militari americane, strumento di una politica che non è sempre quella del suo governo”. Sulla scorta delle parole dello storico crediamo che la strada da perseguire sia duplice: sul breve periodo occorre recuperare un minimo di sovranità nazionale pretendendo che l’utilizzo delle basi sia effettuato in maniera ortodossa agli accordi presi, soprattutto bisogna avere il coraggio di negarne l’utilizzo, come spesso fanno i nostri alleati europei in seno alla Nato, qualora le finalità delle varie operazioni militari siano lontane dai nostri interessi nazionali; sul lungo periodo, inteso come decenni, si può ipotizzare uno sganciamento dall’organismo Nato a comando americano ma solo se verranno effettuate delle scelte importanti nella politica italiana ed europea.
E’ chiaro a tutti che l’Italia da sola sparirebbe militarmente, come sparirebbe economicamente, in una realtà sempre più globalizzata ed interconnessa, perciò occorre che l’Unione Europea diventi una reale confederazione di stati sovrani con un organismo militare unico e forte, eliminando così la propria dipendenza da oltreoceano. Questo ovviamente prevede che l’Italia diventi a sua volta forte dal punto di vista militare: la posizione strategica che occupa, così protesa in mezzo al Mediterraneo, è fondamentale non solo per i nostri interessi, ma anche per quelli europei e mondiali, e gli Stati Uniti lo sanno bene dato che ci usano come un ponte verso il nord Africa ed il Medio Oriente.
La lista delle basi Nato e americane sul nostro territorio è lunga, non così lunga come qualcuno vorrebbe farvi credere (non sono 113 come si sente dire): il comando Nato delle forze terrestri sud-Europa a Verona, Aviano, la caserma Ederle a Vicenza, il comando Nato delle forze navali per il sud-Europa a Napoli, Sigonella, la base logistica di Camp Darby vicino a Pisa ed altre minori; nessuna di questa ha carattere permanente legalmente parlando, pertanto, come è stato fatto per la base della US Navy de La Maddalena, possono essere chiuse o passare sotto altri comandi. Ovviamente finché l’interesse nazionale viene subordinato a quello statunitense questo non avverrà mai, e non crediamo nemmeno che Washington lo permetterebbe così facilmente qualora ci dovessero essere degli straordinari moti di orgoglio nazionale nei cuori della classe politica italiana, ma intanto, per il futuro, ci si può ricordare di una sera di ottobre del 1985 quando a Sigonella un Presidente del Consiglio disse un secco “no” all’uomo più potente del mondo.
Paolo Mauri
1 commento
D’ accordo su tutto, ma non mitiziamo il fatto di Sigonella ora.