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M e i “figli” del secolo: la gioventù al potere

by Sergio Filacchioni
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Roma, 16 gen – La serie Sky su Mussolini dilaga sui social. Nonostante sia stata giustamente definita “grottesca” da molti, almeno su qualcosa sembra cogliere nel segno: il Fascismo è stato un “fatto nuovo“, animato dalla testa ai piedi dalla gioventù. Di fronte alle vecchie cariatidi liberali e socialiste i Fasci di Combattimento, nonostante Joe Wright avesse altri scopi, risultano giovanili, freschi… fighi. Una resa estetica che certo non favorirà le buone intenzioni antifasciste della propaganda Scuratiana, ma che permette a noi di riflettere sulla gioventù italiana di ieri e di oggi, e su quanto essa sia stata protagonista del Fascismo.

I figli del secolo, la gioventù di ieri e di oggi

Mai come oggi l’Italia ha sentito il bisogno di forza vitale: il calo demografico, l’astensionismo diffuso, il disinteresse complessivo verso la res publica sono tutti sintomi di una “stanchezza” sempre più endemica e una separazione sempre più netta tra “vecchi” e “nuovi”. Quasi tutti hanno a mente la celebre scena del film “La meglio gioventù”, del 2003, dove uno stanco e disilluso docente universitario invita un giovane e promettente studente ad andarsene lontano da questo paese: “qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri…”. Il dramma generazionale è evidente, ma nessuno riesce mai ad andare oltre e scalfire una grande, seppur cinica, verità: ovvero che l’Italia non è più un paese per giovani. Se non bastasse il tragico tasso di suicidi nelle fasce d’età più basse, circa quattromila ogni anno (rappresentando la percentuale più importante sul totale dei decessi) che però si inserisce nel diffuso “malessere” delle società occidentali, va aggiunto il “tappo” che una società immobile impone ai giovanissimi: “Le più aggiornate indagini sulla mobilità sociale nei diversi Paesi del mondo – spiega Mario Bozzi Sentieri in un articolo per l’Istituto Stato e Partecipazionedenunciano come in Italia il divario socio-economico fra classi sociali sia in continua crescita. Secondo l’ultimo Global Social Mobility Report del World Economic Forum l’Italia è il Paese europeo con la mobilità sociale più bassa, con ciò intendendo la possibilità che ogni persona ha di posizionarsi ‘verso l’alto’ o ‘verso il basso’ rispetto ai propri genitori. In termini assoluti, è la capacità di un bambino di vivere una vita migliore rispetto ai suoi genitori”. Anni e anni di liberismo ed “egalitarismo a buon mercato” hanno infine riportato in Italia una rigidità classista, dove il futuro di un individuo è sempre più pre-determinato dalle sue origini e dove le chance sono appannaggio di sempre più pochi e – guarda caso – sempre più vecchi. L’Italia si conserva, in un sistema di rigido status-quo che disincentiva l’impegno e il merito, di conseguenza abbatte ogni dinamismo sociale. Se aggiungiamo la generale tendenza globale al “rallentamento”, vedi il caso della transizione energetica; al “razionamento”, secondo i diktat della decrescita; del “controllo”, ovvero la sorveglianza panottica e la vita digitale; otteniamo una cristallizzazione della società e dei giovani – che incapaci di darsi un ruolo tragico (ovvero di attori) – imbalsama il presente e disattiva il divenire storico di un popolo, di una nazione e di una civiltà.

Il mito della gioventù

C’è bisogno di un mito, quindi. Non un mito qualunque, ma uno che sappia riattivare quella forza vitale di cui abbiamo disperato bisogno. I miti hanno la funzione di trasformare gli uomini da spettatori in attori. Secondo il filosofo socialista Georges Sorel i miti sono “sistemi d’immagini che permettono agli individui e ai gruppi di attingere gli strati profondi e spontanei della vita psichica e di scendere sino a quella coscienza creatrice che ha per radici la fantasia poetica, produttiva e prelogica”. Il Fascismo italiano fu la prima rivoluzione politica a fare della giovinezza il mito della propria lotta e giudicarlo come mezzo “per agire sul presente”. Attinto a piene mani dalla vasta esperienza risorgimentale e dal crogiolo della Grande Guerra i Fasci Italiani di combattimento sono il primo movimento a richiamare alla forza la gioventù italiana. Nessuno nella vasta produzione storiografica ed agiografica sul Fascismo ha saputo cogliere meglio dello storico francese Dominique Venner, non tanto le ragioni quanto l’irrazionale spirito fascista che si manifesta a partire dal 1919: “La guerra ha risvegliato in loro la potente idea di rigenerazione morale attraverso la lotta e il sacrificio, formulata a sua tempo da Mazzini. Dal profeta della Giovine Italia hanno infatti ereditato una concezione religiosa della politica e il mito del Risorgimento come «rivoluzione incompiuta». E, istintivamente, credono che spetti a loro compiere questa rivoluzione. Estranei alla moderazione, concepiscono la vita politica nelle sue forme più radicali”. Solo una giovane mente “ritornata” dalle tempeste d’acciaio avrebbe potuto compiere l’eresia assoluta, la sintesi delle antitesi: classe e nazione. Ed è indicativo come i Fasci di combattimento era formati in larga parte da veterani e studenti, ad indicarci come non fosse solo “pane” a muovere i rivoluzionari, ma l’esigenza di avere un nuovo mondo e un uomo nuovo che lo potesse abitare. Oltre alle istanze sociali sono portatori di una liturgia sacra: “la squadra non è solo una truppa d’assalto – scrive ancora Venner – è una comunità cementata dalla fede e dalla condivisione del pericolo. Per un nuovo membro, la prima spedizione ha il valore di un rito iniziatico. Il neofita deve dimostrare se è degno o meno di indossare la camicia nera” e aggiunge “l’originalità essenziale del fascismo risiede nell’essere stato un movimento plebeo animato da un’etica militare e aristocratica”. Questi giovani “credono nel potere illimitato della volontà e delle spedizioni squadristiche: «Adunate, giuramenti, canzoni, riti di guerra – scrive Balbo nel suo diario – esaltazione della violenza come il mezzo più rapido e definitivo per raggiungere il fine rivoluzionario; nessuna borghese ipocrisia e nessun sentimentalismo». Gli squadristi formano una comunione: «La santa eucaristia della guerra ci aveva plasmati nello stesso metallo di generose immolazioni» (Il Fascio, 2 aprile 1921). Sono i sacerdoti della nuova religione della patria, consacrata dal sangue degli eroi”.

Ai giovani la rivoluzione permanente

Istinto, radicalismo, misticismo, sono i valori eterni della gioventù che si fa carico di un compito sovrumano: “Il giovane – dirà Nazareno Padellaro nel 1940 – è sempre un mistico, perché ha cuore e mente disponibili, perché non è ancora sotto il giogo degli interessi, perché aspira consapevolmente o inconsapevolmente ad un mondo migliore di cui egli sia artefice”. Valori che lo stesso Benito Mussolini tentò sempre di tenere accesi, perfino negli anni del consenso e – purtroppo – di un accomodamento generale sulle posizioni raggiunte. Il fermento culturale intorno al Fascismo, che ne dicano gli epigoni moderni, fu smisurato e la partecipazione della gioventù al “contro-progetto radicale” Mussoliniano addirittura fanatico, ma sempre consapevole. Ne sono prova le pubblicazioni di Berto Ricci con “l’Universale”, l’attività della Scuola di Mistica Fascista e la stessa attività di governo devoluta alla mobilitazione della gioventù dalle scuole inferiori fino all’università. Il Fascismo chiamava i giovani alla “partecipazione” e non è poco, dal momento che oggi si è passati al disimpegno o addirittura al ripudio della politica. I principi della Mistica Fascista furono formulati in massima parte da Niccolò Giani e da un ristretto gruppo di giovani insegnanti fascisti legati alla sua scuola fra cui Guido Pallotta e lo stesso Berto Ricci, da alcuni alti gerarchi fra cui Ferdinando Mezzasoma e Giuseppe Bottai, da scrittori e giornalisti di provata fede fascista  come Telesio Interlandi e Virginio Gayda, e dallo stesso Benito Mussolini che nonostante la crescente età e i minacciosi avvenimenti degli anni ’30 fu sempre al centro del “discorso” Fascista, mai come figura ingombrante ma sempre come “agitatore” e animatore qual era: “La mistica – scrisse ai giovani membri della scuola nel 1939è più del partito, è un ordine“. Infine, e non è scontato, fu la gioventù plasmata dal Fascismo a dare sul campo di battaglia le migliori prove di coraggio, da Bir El Gobi a Firenze, riconosciute e balzate all’ammirazione dello stesso nemico che combattevano. Furono figure come Giuseppe Solaro, a soli 31 anni, ad affrontare la forca con il sorriso spavaldo, che rimasto impresso in una celebre foto ci ricorda ancora oggi la spregiudicata bellezza di essere Fascisti contro tutto e tutti.

Smuoversi

Il merito del Fascismo e di Mussolini, oltre le intemperie della storia, è stato e sarà sempre quello di risvegliare nelle migliori parti della gioventù lo spirito di sacrificio e di abnegazione che in ogni tempo e luogo ha smosso le montagne. Se c’è da imparare dall’esperienza Fascista per questo mondo che arranca stancamente e quest’Italia paralizzata da cancrene e mafie croniche è proprio fare della gioventù il mito con il quale agire di nuovo sul presente: troppo spesso sentiamo paternalismo e rassegnazione rispetto “ai giovani d’oggi”, in un misto di fatalismo e avidità. Troppo spesso gli stessi giovani accettano la marchetta di “categoria protetta” o addirittura il marchio di “neet” (quello che non studia e non lavora) e forse questo è ciò che di peggio è stato inflitto al popolo italiano in anni e anni di educazione antifascista. Ci viene presentato il giovane come il soggetto debole, volubile, il sinonimo di arrendevolezza e precarietà, l’indeciso per antonomasia: eppure non è questa la definizione di giovinezza. Bisogna credere nelle parole di Ugo Ojetti, quando affermava l’esatto contrario, ovvero che “La giovinezza non sta nel mutare idee e passioni ogni giorno, ma nel provare ogni giorno le proprie idee e passioni contro la realtà, per vedere se tagliano”. Ed è questa figura “tagliente” che dobbiamo riprendere e diffondere, la gioventù che non si lagna e non frigna di diritti ma “chiama gli Dei al risveglio”. Perché sarà dai giovani che nonostante tutto, ripartirà sempre la storia come una nuova occasione di rigenerazione: “Prima o poi, siamo tutti nuovi in questo mondo. I nuovi cercano le nostre stesse cose. Un posto dove essere liberi, dove realizzare i propri sogni. Un luogo con infinite possibilità”. Ai nuovi bisogna consegnare la fiaccola di un mito che non si è mai veramente estinto. E allora le virtù dei giovani, coraggio e fiducia, torneranno a plasmare il mondo.

Sergio Filacchioni

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