Roma, 16 set – Si terrà oggi, su tutto il territorio nazionale, lo sciopero dei lavoratori – medici, infermieri, oss e personale di supporto: sono quasi 150mila in tutta Italia – della sanità privata. Il motivo dell’agitazione è la mancata firma dell’accordo sul rinnovo del contratto collettivo di categoria, ormai scaduto da 14 anni e che la controparte datoriale ancora rifiuta di sottoscrivere.
La sanità privata incrocia le braccia
“Lo sciopero generale dei lavoratori della Sanità Privata Aiop-Aris è il segnale forte a difesa di chi non può più attendere passivamente ascoltando parole vane e facendo i conti con le promesse non mantenute”, denuncia Gianluca Giuliano, segretario nazionale dell’Ugl Sanità. Ben 14 lunghi anni senza contratto sono “un tempo lunghissimo – spiega – durante il quale questi operatori della sanità hanno continuato comunque a prestare il loro servizio, in condizioni spesso difficili, con professionalità e impegno”.
Nonostante il contributo dato dal personale del settore della sanità privata anche alla lunga battaglia contro il coronavirus, i rappresentanti delle organizzazioni rappresentative delle case di cura e degli ospedali privati italiani hanno disconosciuto la pre-intesa che era stata faticosamente raggiunta a giugno e doveva essere perfezionata entro il 31 luglio, non arrivando alla sottoscrizione del nuovo contratto. La motivazione sarebbe fra le altre cose da riscontrarsi anche nei mancati provvedimenti da parte delle giunte regionali (solo Veneto e Sicilia avrebbero, ad oggi, mantenuto l’impegno) che dovrebbero coprire il 50% dei costi del rinnovo del Ccnl di categoria, così come stabilito dagli accordi in sede di conferenza Stato-regioni. Da qui la necessità di indire lo sciopero, annunciato lo scorso 31 agosto: una protesta, quella di oggi, che “continuerà – conclude Giuliano, che manifesterà dalle 9 alle 13 con un presidio davanti alla regione Lazio – fino a quando i diritti e le tutele non saranno riconosciuti e adeguati e non sarà messa la parola fine a questo calvario sociale”.
Filippo Burla