Roma, 20 nov – All’indomani delle tragiche alluvioni della Sardegna il ministro dell’Ambiente Orlando si affretta a parlare di evento “plurisecolare” in relazione ad eventi di precipitazione che localmente hanno superato i 450 mm (cioè 450 litri per metro quadro di superficie) in 12 ore. Certo, sarebbe consolante se fosse vero e si potesse così attribuire alla solita fatalità, pure se preannunciato con larghissimo anticipo, un evento che invece purtroppo rientra ormai nella norma non solo per la Sardegna ma per la gran parte dell’Italia.
Basta scorrere la cronistoria degli eventi alluvionali nel solo centro-sud della Sardegna e aggiornata al 2010, quindi incompleta anche solo per questa nostra amata, bellissima e martoriata terra, per scoprire nel 1999 quasi 400 mm di pioggia in sole 8 ore, nel 2004 fino a 590 mm di pioggia in poche ore, e per farla breve gli eventi del 18 Novembre scorso sono stati certamente di elevatissima intensità ma non da record.
Di più, come non pensare ai 600 mm in 48 ore sulle alpi occidentali nel 2000, ai 500 mm in 4-5 ore sull’alta Versilia nel 1996, alla Maremma, in Toscana, dove oltre 400 mm di pioggia tra l’11 e il 12 novembre del 2012 causarono una devastazione tuttora non sanata. E si potrebbe continuare, con tanto di conta delle vittime (migliaia dal dopoguerra a oggi).
I numeri sono ormai complicati in un paese che aveva un tempo, tra l’altro, la migliore ingegneria idraulica del mondo, ma è anche vero che senza numeri non si va da nessuna parte, tanto più per quanto riguarda le catastrofi idrogeologiche che da tempo immemorabile spazzano una terra – l’Italia – che un tempo sapeva di essere di montagna e che negli ultimi decenni si è illusa di essere di pianura.
La realtà è quella che il grande climatologo Giampiero Maracchi, già direttore dell’Istituto di biometeorologia del Cnr, va ripetendo da quasi 30 anni: “fenomeni di un certo tipo nel nostro Paese ce ne sono sempre stati, di violenza anche simile: solo che prima avvenivano in media ogni 10 anni, adesso ne abbiamo praticamente almeno uno l’anno”. In altre parole, non è possibile ragionare oggi con i numeri climatici disponibili anche solo 20 o 30 anni fa, perché il riscaldamento globale ha trasformato completamente il clima di tutto il pianeta e tanto più delle terre che si affacciano sul mediterraneo, un mare che si va riscaldando a una velocità impressionante, di conseguenza aumentando il rilascio di vapore nell’atmosfera secondo una progressione esponenziale con la sua temperatura e così fornendo il “combustibile” che trasforma ogni perturbazione di un certo livello nel rischio di una “bomba d’acqua”, per usare un termine coniato a suo tempo proprio da Maracchi.
In Italia pare proprio che su questa materia ogni volta il nastro sia riavviato da zero: laddove Maracchi venne ascoltato, per esempio dall’Autorità di bacino del fiume Arno già nell’ormai lontano 2000 quando questa era guidata dal prof. Menduni, fu varato un piano di bacino che teneva conto per la progettazione e realizzazione delle opere di contenimento delle piene fluviali non solo dei dati storici, ma anche della trasformazione delle piogge in base alle proiezioni climatiche per il futuro, così che un evento fino allora ritenuto possibile soltanto una volta ogni 100 anni divenne l’evento dei 20 anni, e così via. Guarda caso – sarà stata anche fortuna – sull’Arno e sui suoi principali affluenti non si sono verificati da allora eventi di rilievo!
Nel frattempo, gli investimenti per la ricerca sul clima sono stati dirottati sul centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici, affidato all’istituto nazionale per la geofisica e la vulcanologia (estraneo al Cnr) che lo ha installato a Lecce, e l’eccellenza italiana in materia sta per magia… evaporando, proprio come l’acqua dal Mare Nostrum. Ma questa è un’altra storia.
Allora, qui bisogna intendersi una volta per tutte, e i lettori di questo quotidiano sono pregati di ricordarselo: il cambiamento climatico è una realtà, è devastante, è un pericolo mortale per l’umanità, è responsabile anche della maggiore intensità di tutti gli uragani e tifoni recenti, da Katryna a Sandy, ad Hayan che ha recentemente distrutto irreversibilmente vaste aree delle Filippine – e su quest’ultimo ha avuto nuovamente da dire Maracchi, che vale la pena ascoltare. Le temperature stanno salendo a una velocità mai sperimentata dal clima terrestre fino a quando risalgono le misure e le stime cioè vari milioni di anni, il ghiaccio polare artico sta scomparendo a una velocità che lascia senza fiato.
Siccome gli eventi estremi accadono seguendo una legge matematica perfettamente nota agli scienziati, detta “legge di potenza”, che non lascia scampo – un evento comunque estremo prima o poi accadrà – se il clima continuerà a scaldarsi tutto sarà possibile, da alluvioni sempre più frequenti e devastanti, a uragani e tifoni così mostruosi da rendere praticamente impossibile gli insediamenti umani a un paio di miliardi di persone, fino al collasso dei grandi ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide in grado di innalzare il livello del mare di molti metri, è bene capire che qualcosa si dovrebbe fare anziché correre allegramente verso il baratro. Proprio in questi giorni a Varsavia è in corso la diciannovesima conferenza dell’Onu sul clima (COP19), ma pare proprio che da una parte il mondo anglosassone a partire dagli USA, dall’altra i paesi emergenti o da poco prepotentemente emersi grazie allo sfruttamento del lavoro di schiavi e alla devastazione delle risorse naturali e dell’ambiente (Cina in testa), facciano di tutto per boicottare i lavori – ascoltare ancora cosa ne pensa Maracchi.
L’Italia in un sussulto d’orgoglio e di intraprendenza aveva segnato la via da percorrere almeno in campo energetico, per altro presto sabotata in patria e per niente seguita fuori dall’Europa, ma la radice anche di questo enorme problema è sempre la solita, l’usurocrazia finanziaria globalizzata che impone la crescita finalizzata alla redditività dei capitali ancorata al petrodollaro, quindi secondo modelli energetici e di consumo resi ormai arcaici e anacronistici dallo sviluppo delle tecnologie e della scienza (e sullo stato e sul reale peso della ricerca scientifica sulle sorti dell’umanità molto ci sarebbe da dire e da ridire, cosa che faremo presto).
Francesco Meneguzzo
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[…] al consumo attuale. Per quanto questo sembri improbabile, almeno un minimo di consapevolezza del rischio mortale derivante dai cambiamenti climatici si è fatto strada egli ultimi due decenni; allora, immaginiamo di iniziare a produrre […]