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I tre motivi per cui il “Green pass” è una misura senza senso

by Edoardo Santelli
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green pass, certificato

Roma, 25 apr – Il governo ha detto che, per uscire dalle regioni e per viaggiare all’estero, ci vorrà un “Green pass”. In cosa consisterà questa sorta di lasciapassare? In un certificato di avvenuta vaccinazione o di tampone negativo al covid-19 non anteriore a due giorni prima dello spostamento o di “avvenuto contagio e guarigione”. Quindi, se si vuole andare, mettiamo, in Francia, bisogna avere una certificazione di negatività al covid-19 risalente a non oltre due giorni prima del viaggio. Oppure bisogna avere un certificato di avvenuta vaccinazione. Oppure, ancora, un certificato che dimostri, grazie ad esempio ad un test sierologico, che si sono sviluppato gli anticorpi al virus.

Un’analisi minimamente attenta del “Green pass” e delle modalità con le quali può essere ottenuto permette di capire che impostare l’estate, per quanto riguarda la prevenzione al contagio, come i nostri governanti stanno facendo è semplicemente una follia. Una specie di delirio che porterà a un circo e un caos burocratico fuori controllo. Inoltre, oltre a essere inattuabili, logisticamente e materialmente inattuabili, oltre ad essere incompatibili con la vita reale e gli spostamenti reali della gente, le misure prese sono addirittura insensate sul piano della prevenzione: il Green pass non serve a contenere il contagio. Vediamo di capire il perché.

Green pass e tampone: un controsenso sul piano della prevenzione

Prendiamo il tampone negativo 48 ore prima della partenza. Due sono i problemi. Il primo: considerando che durante l’estate, e specialmente nella prima metà di agosto, si spostano milioni e milioni di persone, dirette sia in Italia che all’estero, c’è da domandarsi come faranno le Asl e le preposte istituzioni, già in affanno a fare le centinaia di migliaia tamponi al giorno, a tamponare un numero così ampio di persone. Cosa avverrà, per esempio, la prima settimana di agosto? La gente non andrà in vacanza perché non c’è la possibilità di fare il tampone?

Secondo problema: una misura del genere è senza senso sul piano della prevenzione. Gianni deve andare in vacanza, fa il tampone domenica, martedì ha il risultato (negativo) e giovedì si imbarca su un aereo. Secondo voi, da martedì a giovedì, considerando che frequenta l’aeroporto, che va al bar per mangiare in attesa del volo e via dicendo, Gianni non potrà contagiarsi? Oppure nel periodo che va da domenica a martedì (o a giovedì) anche? Può farsi il tampone rapido, si potrebbe dire: martedì lo fa e il giorno stesso ha l’esito. Verissimo. Peccato che, come ormai si sa, il tampone rapido è molto impreciso.

Il test sierologico è affidabile?

Consideriamo ora il test sierologico. Forse – ripetiamo: forse – il problema logistico è meno grave. Anche se bisogna vedere cosa succederà se i primi giorni di agosto qualche centinaio di migliaio di persone prenderà d’assalto gli ospedali o le cliniche private per farsi il test. Purtuttavia, la misura è ancora senza senso.

Prendiamo sempre Gianni, che vuole farsi un mese di mare. Due gli scenari. Gianni sa di aver avuto il Covid. In tal caso, la legge gli dirà fino a quanto tempo può essere considerato immune. Se gli dicono, mettiamo, che avendo superato il Covid quattro mesi fa, è immune per due mesi ancora. Peccato, però, che nessuno sappia, ad oggi, quanto duri l’immunità. Mettiamo, invece, che Gianni non sappia di aver avuto il Covid. Va a farsi il test sierologico e scopre che è immunizzato. Può partire. E invece no: quanto dura l’immunità? Se è immune perché ha avuto il Covid una settimana prima del test è un conto, se lo ha avuto cinque mesi prima è un’altra storia. Se dovesse viaggiare un paio di giorni non farebbe differenza. Ma se si fa due, tre o quattro settimane di mare la cosa diventa complicata.

L’apoteosi del nonsense del Green pass: il vaccino

Passiamo ora al vaccino. Anche qui: difficoltà logistiche – anzi, caos logistico (e burocratico) – e insensatezza. Perché il caos logistico? Perché il vaccino “scade”. Mettiamo che dopo sei mesi (dalla seconda dose) non valga più e bisogna rifarselo. Bene. Cosa fa uno che ha avuto la seconda dose a fine gennaio e che a metà luglio parte per le ferie? Si fa fare il vaccino nel luogo di villeggiatura? E cosa fa mentre aspetta la seconda dose? Interrompe le ferie? Fa un dose nel luogo in cui è in vacanza e una nel luogo di residenza o di domicilio? Vi immaginate il caos? Tralasciando, per carità di patria, il caso in cui il nostro Gianni sia in vacanza all’estero.

Il quadro che il “Green pass” delinea sui vaccini è semplicemente ridicolo – tragicamente ridicolo, sia chiaro. E poi c’è la totale insensatezza della misura, che appare in tutta la sua evidenza quando si considera una delle poche asserzioni su cui i medici concordano (asserzione condivisa da decenni ormai, visto che vale per tutti i sieri): il vaccino non previene dal contagio e, di conseguenza, dalla potenziale contagiosità verso gli altri. Il vaccino si limita ad attutire i sintomi, li rende meno forti. Se Gianni si fa il vaccino, Gianni può contrarre il virus (del Covid, come dell’influenza) come se non avesse fatto il vaccino. E siccome lo può contrarre, lo può trasmettere. Solo che col vaccino, in teoria, se prende il virus avrà sintomi più lievi che nel caso in cui non avesse fatto il vaccino. Il vaccino tutela contro i sintomi, non contro l’infezione.

E allora: perché è obbligatorio aver fatto il vaccino per viaggiare? Per non portare la malattia agli altri? Ma la malattia la si porta lo stesso, sia a chi non è vaccinato, sia a chi lo è. Se Gianni è vaccinato ma è portatore sano e Gianni sale su un aereo i cui passeggeri sono tutti vaccinati, Gianni potrebbe benissimo contagiare uno o più passeggeri (e lo stesso dicasi per tutti quegli eventuali passeggeri portatori positivi). E quando Gianni e gli eventuali da lui contagiati scenderanno, andranno al bar dell’aeroporto, al loro albergo e saranno sempre fonte di contagio.

Il vaccino è una prevenzione per sé, e dunque è tanto importante per chi viaggia quanto per chi non viaggia. Uno può essere tutelato dai sintomi, ma niente può garantire a una persona di non contagiare gli altri. Se domani la Sardegna viene presa d’assalto da orde di turisti vaccinati, quei turisti potrebbero, in linea teorica, essere tutti portatori del covid. Il solo modo per evitare un sovraffollamento delle terapie intensive sarebbe la vaccinazione di chi va a occupare le terapie intensive. Cioè, ricordiamolo sempre, fragili e anziani. I quali, ancora oggi, malgrado i media vogliano farcelo dimenticare, rappresentano la stragrande maggioranza di chi viene ricoverato e di chi finisce in un letto di terapia intensiva.

Edoardo Santelli

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3 comments

Radio Silvana 25 Aprile 2021 - 9:27

Il fatto che i vaccini non impediscono il contagio non è del tutto vero tanto che i primi dati su Pfizer e Moderna mostrano il contrario:
“ Moderna and Pfizer COVID-19 vaccines may block infection as well as disease”

https://www.forbes.com/sites/carlieporterfield/2021/03/29/cdc-pfizer-and-moderna-vaccines-could-significantly-cut-down-on-coronavirus-transmission/

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Stefano 25 Aprile 2021 - 12:04

Significantly non vuol dire totally… non riusciamo ad interpretare il burocratese in italiano figurati in una lingua straniera.

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Solution3psilon 7 Maggio 2021 - 11:10

infatti, in modo significativo e totale è diverso ma comunque significa tanto e la cosa non è solo agghiacciante ma imbarazzante perché dimostra che siamo presi in giro h24 e gli americani sotto i video di noi italiani che protestiamo scrivono che siamo manipolati dai media e che questo covid avrà ucciso nella realtà dei fatti 1% della popolazione mondiale. Azzo sono in Lombardia eppure i vecchi del paese sono tutti vivi senza contare tutti i vecchietti che ti trovi in strada a 10km/h. Politici intatti guarda caso anche quelli più vecchi. Io mi chiedo quando la gente si sveglierà

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