Roma, 8 mag – Alla fine l’Istituto superiore della sanità e l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) rompono l’imbarazzante silenzio, durato settimane, riguardo la terapia con il plasma iperimmune, il cui protocollo avviato nelle strutture ospedaliere di Pavia e Mantova ha dato risultati incoraggianti riguardo la risoluzione delle forme più virulente del coronavirus. Esiti positivi che hanno subito innescato grandi entusiasmi da una parte, mentre dall’altra hanno suscitato le polemiche degli altri virologi (in primis Burioni), mutismo delle istituzioni, interventi delle forze dell’ordine (Nas) per «vigilare» sull’operato del dottore De Donno (il pneumologo sperimentatore della cura al Carlo Poma di Mantova).
La sperimentazione, avviata a Pavia e Mantova il 17 marzo, ha iniziato a farsi strada anche al di fuori del circuito lombardo (E’ in fase di test anche in Trentino, Lazio, Toscana e in altre Regioni); troppo perché le due istituzioni continuassero a tacere a riguardo. La plasmaterapia ha così ufficialmente fatto il suo ingresso nella lunga lista degli studi vagliati dall’ Agenzia del farmaco in vista dell’individuazione di un protocollo di cura valido per il trattamento del Covid-19.
Il comunicato
Lo rivela proprio L’aifa in una breve nota sul proprio sito ufficiale: «Istituto Superiore di Sanità e AIFA, insieme, sono impegnati nello sviluppo di uno studio nazionale comparativo (randomizzato) e controllato per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con metodica unica e standardizzata. Il plasma dei soggetti guariti viene impiegato per trattare, nell’ambito di questo studio prospettico, malati affetti da forme severe di COVID-19». Allo studio, fa sapere Aifa, partecipano «diversi centri, a cominciare da quelli che sin dall’inizio di marzo ne stanno già valutando a livello locale l’efficacia. Questo progetto – conclude l’Agenzia – consentirà di ottenere evidenze scientifiche solide sul ruolo che può giocare l’infusione di anticorpi in grado di bloccare l’effetto del virus e che sono presenti nel plasma di soggetti guariti dall’infezione da nuovo Coronavirus».
Cristina Gauri