Roma, 15 ott – Non è certo un segreto che Bruxelles stia spingendo verso una difesa europea. Ovviamente, ma c’era da aspettarselo, lo scenario dipinto dal mondo politico e dai principali media è sempre lo stesso: l’Europa è un entità meravigliosa a risposta di necessità inderogabili. “Difesa Europea, un’opportunità che dobbiamo saper cogliere”: titolava così il Corriere della Sera un articolo a firma del ministro della Difesa, Roberta Pinotti pubblicato il 24 giugno 2017.
Ma è davvero tutto rose e fiori? Probabilmente no, vediamo perché.
Il fondo per la difesa europea
Nello stesso articolo, il ministro Pinotti annunciava l’istituzione di un fondo europeo della difesa. “Si tratta di risorse concrete: a partire dal 2020 – si legge – l’Unione Europea potrà mettere in campo ogni anno cinquecento milioni di euro per finanziare progetti di ricerca comuni per lo sviluppo di tecnologie avanzate nel settore della difesa e della sicurezza, più un miliardo di euro l’anno per co-finanziare l’acquisizione di capacità operative vere e proprie.” L’obiettivo è che questi soldi fungano da incentivo per incrementare i finanziamenti da parte delle nazioni.
Ma le aziende italiane sembrano esser di ben altro parere e lo hanno espresso chiaramente tramite l’Aiad, l’associazione delle imprese italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza, che è stata ascoltata dai deputati della commissione difesa in merito.
Il presidente dell’associazione, Guido Crosetto, si è detto estremamente preoccupato per “una razionalizzazione dell’industria europea, perché significa sostanzialmente ridurre il numero di prodotti e conseguentemente di produttori, e, se non governata in modo forte da un sistema Paese determinato, rischia di fare della nostra industria di settore il vaso di coccio”. Il rischio è evidente: senza un mercato nazionale solido ed un sistema Paese forte, le imprese italiane “si ritroverebbero scavalcate da quelle molto più grandi di Francia e Germania”.
Povera Italia, il tuo problema è politico
Ebbene sì, il problema dell’Italia non sta tanto nella forza dei suoi avversari, ma nella propria debolezza. Quando si estende il campo di gioco i competitori aumentano, soprattutto quelli forti. “Per esempio – ha aggiunto Crosetto – pensare a un unico investitore europeo in questo settore significa non solo avere pronte le aziende ad una competizione molto più forte, ma significa avere pronto l’intero sistema Paese, i funzionari, la burocrazia, il sistema finanziario, ma anche le regole, fiscali e burocratiche. Sostenere questo cambio significa anche adeguare il bilancio italiano alle percentuali di Pil investito dai nostri “competitor” industriali, per non lasciargli vantaggi irrecuperabili”.
Ma come si fa a competere con Paesi “che hanno percentuali di Pil investite nel settore maggiori di noi e che investono 10 o 20 volte in più di noi in ricerca e sviluppo”? La risposta è semplice: dobbiamo allinearci ad investimenti “molto superiori agli attuali, a meno che non si scelga di uscire dalla difesa regalando ad altre nazioni fette industriali in uno dei pochi settori ad alto contenuto tecnologico nel quale ancora abbiamo una presenza industriale”.
Lo scenario è agghiacciante, il monito di Crosetto chiaro: la difesa “rischia di parlare, visti gli attuali rapporti di forza e visti gli accordi già intercorsi tra Macron e la Merkel, più che altro francese o tedesco. E se le grandi aziende italiane avranno delle difficoltà, ne risentiranno anche quelle piccole, legate inevitabilmente agli affari delle sorelle maggiori”.
Parenti serpenti
L’Europa, si sa, è stata fatta “a misura di tedesco”, mentre l’atteggiamento dei nostri vicini d’oltralpe è fin troppo evidente se si pensa, ad esempio, al caso sull’intesa Fincantieri-Stx.
In un intervista al Fatto Quotidiano, l’ex ad di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini è stato fin troppo chiaro in merito: “Trattare con i francesi è difficile ed è pericoloso basarsi sulle intenzioni dichiarate, bisogna fare accordi precisi e fissare vincoli economici”. Il riferimento alla riduzione da 17 a 8 del numero di Fremm, acronimo di Fregata europea multi missione, è evidente. “In una nave militare di tipo Fremm lo scafo rappresenta metà del valore, l’altra metà è rappresentata dall’elettronica e dagli armamenti. I due governi di Roma e Parigi hanno istituito un tavolo per arrivare entro il prossimo giungo a un’alleanza per le navi militari. Da parte francese partecipa la Naval Group, partecipata per un terzo dalla Thales, omologa della nostra Leonardo. Da parte italiana c’è Fincantieri, che fa solo gli scafi, ma non Leonardo”. In questo contesto, il rischio che il colosso italiano della difesa resti tagliato fuori è elevato soprattutto perché “ci sarà una fortissima pressione dei francesi – assicura – per mettere su queste navi armamenti ed elettronica francesi, tagliano fuori l’industria italiana, non solo Leonardo ma anche decine di aziende dell’indotto”.
La Francia fa i suoi interessi, ma l’Italia? “Dal punto di vista degli interessi industriali di Fincantieri – ha aggiunto – montare un radar italiano o francese è indifferente. È il governo che deve porsi il problema”. Per Guarguaglini la soluzione è semplice: “Fincantieri diventi azionista di certe attività di Leonardo” facendo in modo che rientri nel gioco con la partecipata Thales e “se il governo pensa che Leonardo accusi dei ritardi deve adoperarsi e pungolarla perché recuperi, il Gruppo ha tecnologia e uomini per farlo”.
Tutto è perduto?
Ovviamente no. Il concetto di difesa europea (o meglio di cooperazione europea nella difesa) non è da cassare in toto e, forse, non è neanche una scelta sbagliata. Basta spostarsi un attimo a livello globale per accorgersi che tutti gli Stati appartenenti all’Ue spendono complessivamente la metà degli Stati Uniti (con una diminuzione della spesa di 20 miliardi di euro negli ultimi dieci anni) e con un efficienza degli investimenti ai minimi termini. Se si pensa al contesto internazionale, ed a quanto espresso in precedenza, è evidente che non si può più stare alla finestra a guardare o barricarsi in anacronistiche posizioni. Il problema è molto più banale di quel che si pensa: tutti quanti sognano un Europa forte, fatta da Nazioni che collaborano per il bene comune. Ed invece ci ritroviamo l’Unione Europea.
Aldo Campiglio
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