Roma, 17 giu – Chiuso il caso Aquarius, se ne apre uno nuovo che vede come protagonisti la nave Trenton della Marina Militare americana del contingente NATO e l’organizzazione non governativa tedesca, Sea Watch.
Partiamo dal principio.
Il 9 giugno il comandante della nave di Sea Watch, presumibilmente Mal Holland, in seguito a quanto successo nei giorni precedenti, appena sbarcato a Reggio Calabria viene portato negli uffici della Polizia Portuale per essere ascoltato dai magistrati reggini. Dopo quattro ore di interrogatorio, il comandante viene rilasciato e gli inquirenti acquisiscono documenti sensibili trovati a bordo della nave di Sea Watch, tra questi anche il materiale video del giornalista de La Repubblica, Fabio Butera, a bordo durante le operazioni attenzionate in zona SAR libica.
Dopo il fermo imposto a Reggio Calabria, il 10 giugno la nave di Sea Watch torna tempestivamente in zona SAR davanti alle coste della Libia, senza la consueta sosta a Malta, suo porto di appoggio, ma non ovviamente di sbarco dei migranti.
In pieno caso Aquarius, ovviamente la ONG non poteva lasciare le coste della Libia sprovviste di almeno un destinatario delle consegne dei trafficanti di esseri umani.
Arrivata ad un passo dal limite delle acque territoriali libiche, i “pirati umanitari” della Sea Watch iniziano a intonare il loro abituale “canto delle sirene” per incentivare i trafficanti alla partenza dei “gommoni della morte” opportunamente sgonfiati e stipati di migranti, spesso rinvenuti privi di motore, segno di un probabile appuntamento di consegna.
Per funzionare al meglio, il “canto delle sirene” viene effettuato in zone determinate della costa libica (ultimamente la zona di Garabulli, ancora in gran parte in mano alle milizie che si oppongono al Governo di al-Serraj), navigando ripetutamente nel medesimo e circostanziato tratto di mare.
Qualcosa succede durante la tarda mattinata del 12 giugno: Sea Watch fa rotta tempestivamente verso le acque territoriale libiche, pratica espressamente vietata dal Codice di Condotta delle ONG di Minniti[1].
Ora iniziano le improbabili acrobazie dei pirati umanitari di Sea Watch: la ONG pubblica un post su Twitter in cui afferma: “Sea Watch si sta dirigendo verso un naufragio a 20 miglia dalla Libia, segnalatoci da un assetto della Marina statunitense, che ha tratto in salvo dall’acqua 40 persone e conferma 12 cadaveri”.
Come si vede dai tracciati del transponder, Sea Watch era già diretta verso il luogo del naufragio segnalato dalla nave Trenton della Marina Militare americana, appartenente al contingente NATO nel Mediterraneo. Le solite casuali coincidenze delle ONG nel Mediterraneo: sono sempre al posto giusto nel momento giusto.
A salvataggio avvenuto, inizia la propaganda contro il Governo italiano ed in particolare contro il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ritenuto formalmente responsabile dei morti davanti alle coste libiche. Molteplici sono i riferimenti al caso Aquarius e alla conseguente chiusura dei porti italiane alle ONG, e alle 12 salme che si dovrebbero trovare a bordo della Trenton.
Dai comunicati diramati da Sea Watch, sembrerebbe che la ONG stia agendo come mediatore tra la Marina Militare USA e le istituzioni italiane, come in una sorta di alleanza per chiedere il permesso allo sbarco dei migranti salvati.
La Sea Watch, dal primo momento, insiste sulle 12 salme a bordo della nave americana Trenton, rinvenute nella zona del naufragio. Sappiamo ormai perfettamente che i morti sono diventati lo strumento di propaganda usato dalle ONG per sensibilizzare l’opinione pubblica, come in una sorta di macabro sciacallaggio mediatico.
Il 13 giugno, Sea Watch pubblica un comunicato stampa colmo di inesattezza e velate invettive contro il Governo italiano.
In serata, la nave Trenton si allontana dalla zona del soccorso, senza preventivamente aver avvisato la Sea Watch. La ONG si dimostra quasi infastidita da tale comportamento.
Da questo momento inizia una sequela di fake news pubblicate da Sea Watch che rimbalzano sui principali mainstream media, ed in particolare su La Repubblica, Rainews, Radio Radicale e SkyTg24, senza nessuna opportuna verifica precedente fatta dai giornalisti in merito alle questioni in esame.
La prima vergognosa fake news è quella relativa alla sorte delle presunte 12 salme a bordo della Trenton. La Sea Watch divulga alla stampa che sono state buttate in mare dalla nave americana perché priva di celle frigorifere dove possono essere conservati i corpi.
A questo punto per fermare la divulgazione della bufala, arriva un secco comunicato stampa della Marina Militare americana[2]: “Due gommoni a scafo rigido (RIB) e una barca di salvataggio veloce sono stati lanciati dalla Trenton e sono stati recuperati 40 persone in difficoltà. Queste sono state immediatamente portate a bordo della Trenton e provviste di cibo, acqua, vestiti e cure mediche. Questo dimostra la capacità multi-missione delle forze navali statunitensi e la nostra capacità di rispondere rapidamente per fornire soccorso. Durante l’operazione, l’equipaggio della Trenton inizialmente ha notato circa 12 corpi in acqua che sembravano non rispondere. L’equipaggio ha dato la priorità al recupero a coloro che avevano bisogno di aiuto immediato. I RIB e la barca di salvataggio hanno condotto una ricerca successiva per quei corpi, ma non hanno trovato altri corpi nella zona. Se necessario, le navi della US Navy sono in grado di conservare le salme in depositi refrigerati. Le autorità degli Stati Uniti si stanno coordinando con i partner internazionali per determinare le ulteriori disposizioni”.
Quindi gli americani affermano di non aver recuperato alcuna salma durante il naufragio e di conseguenza di non aver buttato in mare i corpi.
Una domanda ai cari “colleghi” della stampa italiana che hanno riportato la notizia senza ulteriori verifiche: credete veramente che una nave da guerra militare americana non abbia un opportuno deposito refrigerato a bordo dove conservare i resti dei militari morti in missione? Davvero?
Appena chiarita la prima fake news, ne arriva una seconda: la nave americana Trenton, forse usando il teletrasporto spazio temporale, il 15 giugno viene localizzata da Sea Watch e dai media mainstream davanti al porto di Augusta in Sicilia, in attesa dell’autorizzazione alla sbarco dei 42 migranti che non viene data da quel “mostro” del Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Pure IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), dando per scontato le dichiarazioni di Sea Watch, è intervenuta sottolineando l’urgenza dell’autorizzazione allo sbarco ad Augusta.
Come dimenticare gli inviati della stampa di regime, con gli occhi pieni di lacrime e la voce rotta dall’emozione posizionati con le rispettive troupe davanti al porto di Augusta in inutile attesa dello sbarco dei 42 migranti dalla Trenton. L’affitto di un pedalò, per le opportune verifiche, non era nel budget?
Peccato che la Trenton si trovi ancora in zone SAR libica e che gli acuti giornalisti non abbiano notato che la Sea Watch abbia avuto dei seri problemi di lettura dei dati di Marine Traffic, il sito usato per geolocalizzare le navi.
Nel frattempo, dopo altri due giorni di “canto delle sirene” e delusa dallo scippo dei 42 migranti fatto dagli americani della Trenton, Sea Watch torna mestamente a Malta, senza dimenticare di salutare i “colleghi”, appena arrivati in zona SAR libica, di Mission Lifeline, ONG fondata da Axel Steier noto attivista della sinistra radicale tedesca e già indagato dalla Procura di Brema per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina[3].
Torniamo alla Trenton: ovviamente essendo una nave militare il transponder della nave è costantemente spento per ragioni di sicurezza.
Il Ministero dell’Interno, nel tardo pomeriggio di venerdì, dirama un comunicato stampa[4]: “Trenton, 42 migranti verso l’Italia. Sbarcheranno in Italia i 42 migranti salvati dalla nave Trenton della Marina americana davanti alle coste libiche, superstiti di un naufragio che ha causato la morte di altre 12 persone. La Trenton arriverà in prossimità di Lampedusa domenica mattina e dall’isola si muoverà un mezzo della Guardia Costiera italiana che recupererà i 42 per trasferirli in un porto ancora da assegnare”.
Così si conclude il caso Trenton-Sea Watch, generatore di una sequela di bufale della stampa di regime pro immigrazione.
Francesca Totolo
[1] Codice di Condotta delle ONG: http://www.interno.gov.it/sites/default/files/codice_condotta_ong.pdf
[2] USNS Trenton Statement: Updated 15:50 CET, June 14, 2018: http://www.c6f.navy.mil/news/usns-trenton-statement-updated-1550-cet-june-14-2018
[3] Le novità nel Mediterraneo dopo l’introduzione del Codice di Condotta delle ONG del Ministro Minniti: nuovi e vecchi attori in zona SAR: https://www.lucadonadel.it/novita-nel-mediterraneo-dopo-codice-ong-minniti/
[4] Comunicato stampa Ministero dell’Interno nave Trenton: http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/notiziasolotesto.jsp?id=1190998&pagina=101&sottopagina=01
Il caso nave Trenton – Sea Watch: tra mistero e fake news
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