Bologna, 17 mag – Qualche centinaio di sinti, pochissimi rom, un paio di senatori Pd – Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice – l’assessore comunale bolognese al welfare Amelia Frascaroli, l’attore teatrale Alessandro Bergonzoni, questa la scena della marcia degli zingari che ieri ha attraversato Bologna. Con il solito codazzo di centri sociali che con gli organizzatori della marcia hanno in comune almeno il privilegio di non pagare affitti e utenze.
I sinti – soltanto questa etnia ha in realtà organizzato la manifestazione, e dicono di tenere a differenziarsi dai “cugini” rom – hanno aperto la manifestazione cantando l’inno di Mameli. “Siamo italiani non extracomunitari – dicono. Rispettiamo tutti ma subiamo un razzismo ingiusto. Siamo nati in questo Paese, abbiamo fatto i militari e non abbiamo gli stessi diritti degli altri”. Sarà, ma come la mettiamo con i gli stessi doveri, che non vengono mai nemmeno menzionati?
Alla fine, però, è opportuno inquadrare la questione nella giusta dimensione.
Per prima cosa, i campi nomadi di cui almeno i sinti e almeno a parole dicono di desiderare la chiusura, dovrebbero già essere stati chiusi in base alla direttiva europea 2000/43/CE, per l’inottemperanza alla quale l’Italia rischia una procedura d’infrazione. L’appello e l’impegno a rimuoverli in quanto fonte di degrado e vere e proprie zone franche sottratte al controllo dello Stato, ripetutamente espressi da Matteo Salvini e dalle altre forze più responsabili della Nazione, risponde quindi a quanto “ci chiede l’Europa”, una formuletta cui tutti i governi da Monti a Renzi si sono appellati un giorno si e l’altro pure per imporre all’Italia le autodistruttive misure di austerità che soffriamo sulla nostra pelle.
In secondo luogo, quanti sono realmente i rom e i sinti in Italia? Tra 120 mila e 180 mila, circa lo 0,25% della popolazione, di cui metà circa con cittadinanza italiana, da confrontare per esempio con l’oltre 9% di immigrati stranieri.
Sorvolando sulla concentrazione di attività illecite e criminali, dai furti – soltanto quelli di rame hanno portato, e solo alle Ferrovie dello Stato, a decine di milioni di danni tra diretti e indiretti nel 2014 – allo sfruttamento minorile, si tratta quindi di una esigua minoranza e l’atteggiamento ambiguo della maggioranza governante risponde – proprio come per gli immigrati e i presunti profughi – a logiche apertamente anti-italiane.
Se per un verso tenere aperta la questione nomadi e i relativi campi ha consentito infatti al relativo ramo d’azienda criminale – di cui finora è emersa soltanto la realtà di Mafia Capitale – di prosperare, ben altri disagi e con numeri enormemente superiori sono costretti a subire gli Italiani.
Portiamo un solo esempio, di cui forse non tutti sono a conoscenza: secondo i dati Istat, il numero di Italiani in condizioni di povertà assoluta che, per una famiglia di quattro persone con componenti tra 18 e 59 anni di età, significa un reddito intorno a 1.500 euro al mese, hanno superato la soglia dei sei milioni, il 10% della popolazione residente. Un’incidenza drammatica, quasi raddoppiata soltanto dal 2011 e che ha visto protagonista il nostro mezzogiorno che, proprio da quell’anno e non a caso, è stato abbandonato a se stesso dai governi centrali non eletti succedutisi negli ultimi quattro anni.
Per questi connazionali, evidentemente figli di un dio minore, non c’è una parola né una marcia né deputati Pd o attori pronti a scendere in piazza. Forse perché, per lo più dignitosi, non si mostrano, non sono telegenici, né ispirano solidarietà, e nemmeno offrono occasioni di lucro più o meno lecito.
Francesco Meneguzzo