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Siete voi, persone meste, a dover chiedere scusa agli uomini per bene

by La Redazione
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scusa agli uomini per bene

Roma, 26 nov – A chi sta ciecamente attaccando gli uomini con la sola colpa di essere uomini. Senza comprimersi nella banalità, ma aprendo alla lucidità. Siete voi che dovete chiedere scusa agli uomini. A tutti quegli uomini che vivono per i figli, che gli insegnano con l’esempio a combattere la corruzione nelle piccole cose che porta ad assomigliare a dei vermi, a non avere paura, a sentire una mano tesa nella più grande tristezza; che li formano per saper stare al mondo, fatto composito che vale più di mille lauree prese per accontentare i nonni, in un bilanciamento perfetto di azione e stasi, diplomazia e forza, serietà e giocondità, assenza e presenza; a quegli uomini che, incarnando il pater familias hanno insegnato ai figli come esplorare, rispettando la loro unicità, la loro forma, la sensibilità, a dialogare con le fragilità, luoghi oscuri e pericolosi, dove si annida il dolore e la rinuncia, la disillusione, la solitudine e il fallimento, ma in cui alberga anche il talento e la profondità, dimensione oggi sterilizzata dall’estremismo del progresso a cui serve un uomo astratto, universale, animalesco indistinto.

Chiedete scusa agli uomini per bene

Una brava persona decente che si riconosce eternamente nella maggioranza e che non sente più gli stimoli della coscienza che lo fa ribellare, del pensiero critico che si attiva ragionando sopra le cose. Chiedete scusa a quegli uomini che hanno identificato il Bene, personificandone l’essenza, nella propria compagna di una vita con cui magari si è affrontato un figlio perso, ogni rata del mutuo che metteva paura quando uno dei due aveva perso il lavoro, i genitori che se ne sono andati – magari troppo presto – e la mancanza di soldi, che non ha comunque impedito di stringersi in un abbraccio più forte del tronco di una quercia secolare e più radicato nell’amore di un ulivo bicentenario su un promontorio pugliese, libero al vento di mare del giorno e della tempesta.

Quegli uomini di coraggio, di onore, che hanno imparato a piangere da soli mentre versano gli alimenti alla ex moglie trovandosi con due lire in tasca, che sono orecchio e complicità, che pur di non scendere a compromessi con piccoli aborti umani, fedeli a principi di integrità e di pace personale, mangiano pane e cipolla in sessanta metri quadri. Chiedete scusa a quegli uomini che sanno vivere la propria virilità in un codice maschile senza approfittarsene, senza essere oltraggio, né tumore di un’Italia provinciale che li vuole sempre duri e puri per essere trionfanti nel consesso maschile generale. A quegli uomini che vivono la propria fragilità senza apparire supereroi, ma ben consci delle proprie debolezze. E sono amici e soci, complici e difensori: hanno sangue nelle vene.

Non siete niente

Voi non siete uomini, né donne. Il vostro odio, la vostra isteria che nasce da un infinito disturbo post traumatico da stress che anziché curare avete eletto a norma di giudizio comune, grazie alla galoppante cultura della debolezza che per libertà, anziché partecipazione al reale, al tempo e a se stessi, prevede una concessione dietro l’altra per pulirvi la coscienza senza fatica, né assunzione di responsabilità, per redimervi da voi stessi nel mondo della religione dell’umanità, orribile distorsione dell’umanesimo del mondo globale, virtuale, liquido, senza Dio, né confine, perennemente precario e migrante.

L’opinione autoritaria soppianta l’idea autorevole, l’emozione domina la ragione. Ma l’amore e il coraggio vi schiacceranno, piccoli segnaposto virtuali. Voi non lascerete nulla alla storia, se non gli scarti della vostra ossessione. Dovete essere isolati per l’incapacità di vivere civilmente. Vivo sereno, in pace con la mia coscienza e con Dio, con chi ripone fiducia e stima in me, con chi mi vuole bene. Vivo sereno nella mia integrità antica che si rinnova, nei miei principi, nell’espansione della mia anima. Esattamente come migliaia e migliaia di uomini.

Sono nato dalla società dell’amore: la famiglia. Quest’epoca di piccoli ominicchi, di corpi disabitati, fragili, di aborti umani – mai nati come uomini, figuriamoci come politici – è dannatamente presuntuosa e incredibilmente cervellotica, sempre meno in grado di leggere e vivere la complessità. Ogni società di uomini ha superato certe arretratezze ma conservava, comunque, gli anticorpi per la follia, per il superamento di un limite disumano; manteneva coltivandoli, comunque, dei principi morali che proteggevano il Bene, la felicità, la giustizia. Non è esclusiva di questo presente fragilissimo, edificato su uomini astratti, di servizio, mondati accuratamente da ogni dimensione di profondità, la maggior definizione di libertà possibile, concepibile. Questa idea di delegittimare il ruolo genitoriale, così da affidare i figli alla vera educazione giusta ed equa per tutti, che forma un esserino freddo e bravo niente male, che nell’indistinzione viene allevato dalla società civile, da valori laici e privati dello spirito, dalla moralizzazione generale, è aberrante. Genitori ridotti ad accompagnatori formali, in una mera azione di funzione, di tutoraggio; balie ferme, senza più significato profondo, che mantengono i figli fin quando la società giusta, emancipante, globale, liquida, virtuale, del progresso viene a reclamarli per portarli con sé.

Emanuele Ricucci

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