C’eravamo lasciati una ventina di giorni fa dentro a una canzone di Venditti, con le lacrime diverse di Claudio Ranieri – dovuto tributo di tutto l’Olimpico, fazione inglese compresa – e José Mourinho, evidentemente soddisfatto per l’ennesima impresa personale. Sarà infatti anche la terza competizione continentale per importanza ma nel (già ampiamente trattato) lungo inverno europeo del calcio italiano il fatto che una nostra compagine sia arrivata in fondo è cosa gradita e non scontata.
Finale “oltre confine” che alla Roma giallorossa manca da ben 31 anni, dall’equilibrato doppio confronto contro l’Inter nel 1991. Questa volta di fronte ai capitolini – in quel di Tirana – gli olandesi del Feyenoord, squadra di stanza a Rotterdam. Il club del popolo ha vissuto il periodo di massimo splendore a cavallo degli anni ‘60 e ‘70, quando oltre a 6 Eredivisie ha conquistato, nella stagione 1969-70 la sua unica Coppa dei Campioni. L’ultima affermazione europea risale al 2002 (Coppa Uefa) e negli ultimi anni la società – pur rimanendo in scia di Ajax e Psv – ha dovuto fare i conti con diverse difficoltà economiche. Fiore all’occhiello, il vivaio.
Roma – Feyenoord: la partita
Oltre alla comunque importante posta in palio la partita è l’occasione sportiva anche per vendicare simbolicamente l’oltraggio fatto proprio dai tifosi olandesi alla Barcaccia nel 2015. Tante certezze nei giallorossi che scendono in campo con l’ormai collaudata difesa a tre, Karsdorp e Zalewski sugli esterni, tridente formato da capitan Pellegrini, Zaniolo e Abraham.
Il ritmo di gara non è elevatissimo ma dopo 55 partite ufficiali la brillantezza non può essere quella dei tempi migliori. Compatta, ordinata e pragmatica questa Roma dimostra comunque di aver assorbito appieno il verbo mourinhano. Una squadra dal cuore pulsante pienamente italiano: Mancini sempre attento, Cristante laborioso, Pellegrini frizzante, Zaniolo che pare poter fare la giocata giusta da un momento all’altro. E il momento propizio arriva intorno alla mezz’ora, quando – con un preciso lancio dalla trequarti – è proprio il difensore azzurro a pescare in piena area il numero 22. Mezzaluna da centravanti navigato, controllo di petto e tocco sotto per il punto dell’1-0 con cui si va al riposo.
Roma vince la Conference!
Secondo tempo: pronti-via palo e Rui Patricio dicono no agli avversari in almeno tre occasioni. Il Feyenoord spinge e i capitolini si difendono con tutti gli effettivi. Pressione e tensione potrebbero giocare brutti scherzi, ma Pellegrini e soci – pur soffrendo tremendamente – mantengono al meglio le distanze. Un successo voluto, strappato con le unghie e con i denti che – con buona pace degli autorazzisti di casa nostra – potrebbe diventare fondamentale. Altro che “coppetta”: può segnare il rientro italiano nella storia calcistica del continente. Intanto mentre la Roma si gode il suo primo – storico – trofeo per Mourinho è la quinta vittoria in altrettante finali europee disputate.
L’ultima Champions, la prima Conference
Il vero fuoriclasse di questa Roma siede infatti in panchina. Dallo Special One del 2010 all’attuale, per così dire “normalizzato” è sempre il tecnico di Setubal a coniugare Italia e successo in terra europea. Dall’Inter alla Roma, dalla Champions di Madrid alla Conference conquistata in terra albanese. Sicuramente meno blasonata ma, come abbiamo visto, altrettanto importante. Il portoghese comunque non ha perso il tocco magico, ossia il saper utilizzare al meglio il proprio pugno di ferro. Questo trofeo – ma anche la soddisfacente qualificazione in Europa League centrata in campionato – nasce dalla figuraccia norvegese di metà ottobre (6-1 rimediato in casa del modesto Bodo/Glimt). Da lì in avanti abbiamo rivisto il vero Mou: quello che non accetta la mediocrità, conosce la propria strada e – con le buone o le cattive – la fa percorrere alla squadra. Anche fuori dal campo, il più italiano dei tecnici stranieri: passionale, polemico e vincente.
Marco Battistini
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