« Pronta, Dodicesima !
Divisione di bronzo, è l’ ora !
Brigata Casale,
Brigata Pavia,
Undicesimo, Dodicesimo,
Ventisettesimo,
Ventottesimo fanteria :
attenti al segno, attenti al segno !
Ancora tre minuti,
due minuti,
uno : « Alla baionetta ! *
E tutte le baionette
fioriscono sulle trincee.
(Vittorio Locchi, La Sagra di Santa Gorizia, 1916)
Roma, 5 ago – Cadorna riuscì a dar prova delle proprie qualità quando, immediatamente dopo aver bloccato l’offensiva di Conrad sugli Altipiani riuscì, con una manovra per linee interne che colse impreparati gli avversari, ad impadronirsi di Gorizia, con quella che il colonnello Barone, uno dei maggiori storici militari italiani degli inizi del XX secolo, solitamente assai critico, ebbe a definire, forse retoricamente, ma non del tutto a torto, una manovra napoleonica.
Cadorna riuscì ad ottenere la completa sorpresa riguardo alla sesta offensiva isontina, in quanto il Feldmaresciallo Conrad riteneva l’Italia impreparata ad agire contemporaneamente sul fronte degli Altipiani con la controffensiva iniziata a giugno e sull’Isonzo, dove il Cadorna aveva trasferito gran parte delle artiglierie utilizzate per arrestare l’attacco austriaco senza che il nemico se ne accorgesse. Prima ancora che la situazione sugli Altipiani si fosse del tutto stabilizzata, Cadorna iniziò a pianificare una sesta offensiva sul fronte isontine, nel tratto tra Gorizia e l’Adriatico: fin dai primi di giugno, prima cioè che la situazione del Trentino fosse pienamente risolta, Cadorna ordinava al Comando della Fronte Giulia di proseguire nei preparativi per l’attacco, e di tenersi pronta ad effettuarlo quando si fossero potute ritrasferire dalla fronte tridentina all’Isonzo, le truppe, i mezzi e le artiglierie necessarie per un attacco a fondo:
“Con una grande rapidità di esecuzione si potrebbe sorprendere il nemico: il quale non deve aspettarsi un nostro attacco poderoso sulla fronte Giulia, quando appena si sia arginata l’offensiva del Trentino”:
Con la massima segretezza vennero spostate truppe dal fronte trentino all’Isonzo, concentrando nei punti opportuni truppe ed artiglierie. Commenta ammirato Barone, insigne critico militare:
“questa è arte vigorosa! Questa è arte napoleonica, che fa rammentare il famoso “Activité, activité, vitesse!”
Si noti come questo giudizio sia stato scritto nel 1919, quando il conformismo dilagante voleva si addossassero a Cadorna tutti gli errori e gli si negasse ogni merito.
Il campo fortificato di Gorizia si presentava formidabile, imperniato com’era su quattro sistemi difensivi: il Monte Sabotino, il San Michele, il Monte Santo ed il San Gabriele, rilevanti ostacoli naturali rafforzati da linee multiple di trincee, da gallerie, caverne, ridotte e reticolati. L’offensiva si diresse innanzi tutto contro il Sabotino. Questo monte di 609 metri era il pilastro settentrionale delle linee difensive austriache sulla destra dell’Isonzo. La conquista del monte, contro cui si erano infranti gli assalti italiani nelle offensive precedenti, fu opera del generale Pietro Badoglio, capo di Stato Maggiore del VI Corpo d’Armata; alla vigilia dell’attacco italiano al monte nell’agosto 1916, Badoglio venne messo a disposizione della 45a Divisione, in modo da poter comandare la prima colonna attaccante; alle quattro del pomeriggio il Sabotino fu preso in un solo quarto d’ora, ed il 27 agosto Badoglio venne promosso maggior generale per merito di guerra.
D’Annunzio dedicò all’impresa del Sabotino il celebre distico:
Fu come l’ala che non lascia impronte, il primo grido avea già preso il monte.
Nello stesso tempo veniva attaccato il San Michele. Il bombardamento delle artiglierie precedette in modo metodico, razionale ed efficace l’attacco delle fanterie, ed anche il San Michele venne preso il sei agosto stesso. Dopo la conquista del monte, i Bersaglieri crearono una strofetta sull’aria di Bombacè:
Sul Monte San Michele
Si sa quello che avvenne:
L’han preso i Bersaglieri
Lasciandoci le penne.
Grazie all’uso metodico dell’esplorazione aerea, all’azione delle pattuglie esplorative ed ai rilevamenti ottici, le posizioni austriache erano state perfettamente riconosciute ed inquadrate, i bersagli accuratamente ripartiti in estensione ed in profondità, le modalità di fuoco stabilite con precisione. Venne anche attivato un sistema di rilevazione delle condizioni aerologiche che permise di conoscere con precisione le condizioni del vento. L’uso dell’artiglieria aprì la strada alla vittoria italiana: come detto, il sei agosto vennero presi San Michele e Sabotino, che rimasero in mano italiana malgrado i violenti contrattacchi austriaci; l’azione proseguì il sette con l’attacco alle alture ad ovest della città giuliana, in un’area che ben si prestava alla difesa, presidiata da truppe imperiali tenaci ed agguerrite, con frequenti contrattacchi che si protrassero per tra giorni. La sera dell’otto agosto le alture sulla destra dell’Isonzo- dosso del Bosniaco, quota 188, Pneuma, Monte Calvario (Podgora)- e il San Michele sulla sinistra erano definitivamente tenute dagli italiani; le brigate Casale (11° e 12° fanteria) e Pavia (27° e 28°) passarono il fiume, mentre una colonna formata da Bersaglieri ciclisti e cavalleria venne lanciata all’inseguimento degli austriaci.
Il sottotenente Aurelio Baruzzi, un romagnolo volontario di guerra a diciotto anni, con quattro fanti del 28° Reggimento irruppe in una galleria ferroviaria sistemata a difesa a Piedimonte del Calvario, e, grazie alla sorpresa, catturò duecento prigionieri austriaci e due cannoni, aprendosi così il passaggio, riuscendo a tenerli sotto controllo, urlando e fingendo di avere ben più di quattro uomini, fino all’arrivo, dopo parecchio tempo, di rinforzi. Baruzzi passò quindi a guado l’Isonzo e con i suoi uomini entrò a Gorizia, innalzando la bandiera italiana sulla stazione, guadagnandosi la medaglia d’Oro al Valor Militare concessagli motu proprio dal Re. La prima città irredenta era stata conquistata dagli italiani. Era la prima grande vittoria dell’Intesa dal 1914, e un duro colpo psicologico per gli avversari, poiché Gorizia, considerata inespugnabile, era la capitale del Friuli austriaco sin dal XVI secolo, e, a parte brevissimi periodi di occupazione veneziana e franco- italica, era sempre rimasta un possedimento degli Asburgo.
Una battaglia nata dalla manovra e dalla sorpresa strategica, trasferendo un’intera armata dal fronte trentino, cogliendo di sorpresa l’avversario che riteneva l’Italia spossata per i combattimenti sull’Altipiano di Asiago; una battaglia che aveva visto gli italiani ottenere per la prima volta la superiorità nelle artiglierie e nella guerra aerea, e vincere non tanto con la forza bruta, ma anche con operazioni lampo come la conquista del Sabotino e del san Michele. Eppure, per gli storiografi di sinistra, che tanti danni hanno fatto e fanno alla conoscenza della Prima Guerra Mondiale, a far testo è la fin troppo celebre canzonetta sovversiva O Gorizia tu sei maledetta, una delle tante composizioni disfattiste nate negli ambienti socialisti delle retrovie, probabilmente in Lombardia od in Piemonte (dove, incidentalmente, è maggiormente documentata l’infiltrazione dei servizi di informazione delle potenze centrali tra gli ambienti disfattisti).
Che non sia opera di combattenti lo dimostrano le prime strofe:
La mattina del cinque di agosto
Si muovevano le truppe italiane,
Per Gorizia e le terre lontane
E dolente ciascun si partì.
Sotto l’acqua che cadeva a rovesci,
Grandinavano le palle nemiche:
Tra quei monti colline e gran valli
Si moriva dicendo così:
O Gorizia tu.sei maledetta
Per ogni cuore che sente coscienza…
Basti dire che la mattina del cinque di agosto c’era il sole. Nessun combattente avrebbe fatto un errore così grossolano… Si tratta di una strofa di una canzone più antica, Il canto di un eroe ferito, ovvero lo squillo della vittoria, canzone di intonazione patriottica cantata durante la guerra italo- turca:
Sotto l’acqua che ci cade a rovescio
Grandinavan nemiche le palle
Gli italiani non voltan le spalle,
Vanno avanti a battagliar.
Una versione raccolta a Novara negli anni sessanta inizia con:
E la mattina di ventitrè maggio…
e non contiene le strofe sovversive).
Va detto che assai più popolare tra i reduci della Grande Guerra anche negli anni successivi fu la splendida Sagra di Santa Gorizia del Locchi, oggi vergognosamente dimenticata, un cui verso abbiamo citato all’inizio.
Intanto, sul Carso, le truppe della 3a Armata, dopo conquistato il San Michele, conquistarono l’intero altopiano di Doberdò, arrivando sino al Nad Logem ed a quota 208 Nord. Vale la pena di dedicare qualche riga ai combattimenti intorno a Doberdò, oscurati da quelli intorno a Gorizia; lo faremo riportando le parole dell’arciduca Giuseppe d’Asburgo, comandante delle truppe ungheresi nel settore. Sono righe pochissimo note, ma assai importanti per la fonte da cui provengono e per la vivacità straordinaria, soprattutto per un generale della Grande Guerra, con termini verso i superiori che sarebbero stati impensabili per chi non fosse di stirpe imperiale:
“(…) Vengano qui Conrad e Boroevich; vengano qui ad ordinare di tenere immancabilmente l’altipiano senza tuttavia stancare troppo le truppe. Qui, dove io riesco a stento a padroneggiarmi senza fuggire tappandomi il naso e gli occhi. Io sono completamente fuori di me; perché quello che ho visto oggi è talmente impressionante, che veramente devo essere felice perché non impazzisco in tale situazione. Almeno il mondo sapesse ciò che è la guerra e soprattutto ciò che è Doberdò! Fosse qui Dante a cantare l’inferno degli inferni, e nello stesso tempo queste grandi anime che qui tutto sopportano senza dire un sol motto! (…) Con tutto l’animo debbo esprimere la mia meraviglia per gli Italiani; una simile pazienza tenace negli attacchi, con simili perdite, è qualcosa che non avevo mai visto!Parecchi alti ufficiali che conosco mi dicono che è facile cosa la guerra contro gli Italiani. Non è vero! Lotte più terribili di quelle combattute a Doberdò, e nemmeno paragonabili a questa- io che pur ho girato su tutte le fronti- non ne ho mai viste!”
Sono parole su cui meditare: prima la retorica nazionalista e poi la dissacrazione sistematica hanno finito per gettare nel dimenticatoio il sacrificio dei combattenti del fronte italiano, quasi che non esistesse una via di mezzo tra immagini oleografiche di eroi che avanzavano nel sole sventolando tricolori o bandiere con l’aquila bicipite ed offrendo il petto alle mitragliatrici nemiche e quelle opposte di masse di uomini piangenti, trascinati come pecore al macello da criminali gallonati. La realtà fu di migliaia di uomini che combatterono in condizioni assai più difficili che sugli altri fronti, in mezzo a pietraie gelide d’inverno e caldissime d’estate, senz’acqua, una guerra spesso feroce, con tutte le debolezze e gli eroismi che hanno sempre segnato la storia delle guerre.
Alla fine della battaglia di Gorizia la linea raggiunta dalle truppe di Cadorna era la seguente: Sella di Dol- Santa Caterina- Chiesa di Castagnevizza- pendici del Rafut e del monte San Marco- alture di Sober- Vertoiba- Nad Logem- Oppacchiasella- Quota 208 Nord. La presa di Gorizia ebbe un notevole impatto nel quadro strategico globale, malgrado la solita sottovalutazione degli avvenimenti del fronte italiano, perché, come scrisse Erich Ludendorff:
Ne derivò una seria crisi. Fu pertanto necessario ritirare alcune divisioni [austriache] dal fronte orientale, che furono colà sostituite da divisioni tedesche per ristabilire la situazione.
In questo modo i tedeschi non poterono inviare tali truppe sul fronte di Verdun, dove erano attese ed erano necessarie per proseguire l’offensiva”. Prosegue Ludendorff:
“Che in conseguenza [della Strafexpedition e della conseguente presa di Gorizia] ne derivarono difficoltà in oriente non soltanto per il comando austriaco, ma anche per la condotta della guerra, non ha bisogno di essere dimostrato. Le conseguenze perniciose dell’impresa particolare dell’Austria Ungheria in Tirolo si facevano però sentire. L’ultima di tali conseguenze, l’entrata in guerra della Romania, doveva ancora aggiungersi. Per essa gli avvenimenti dell’Isonzo furono decisivi.
Le spallate cadorniane stavano sempre più minando lo strumento militare della Duplice Monarchia, tanto che quando i rumeni, nel 1916, invasero la Transilvania, territorio nazionale ungherese.
Le truppe austriache sulla fronte italiana erano così spossate – è sempre Ludendorff a scrivere- che non poterono essere sottratte forze contro la Romania [1].
Così che ancora una volta dovette essere la Germania ad inviare truppe nei Balcani, sottraendo divisioni dal fronte occidentale- ciò che impedì poi di sfruttare la crisi dovuta agli ammutinamenti francesi del 1917- e dal crollo russo.
Pierluigi Romeo di Colloredo
1 Ludendorff, cit. in Argiolas, La Prima guerra Mondiale, cit., p. 193.