Roma, 24 ott – Criticare la classe politica è un dovere morale, ma bisogna riuscire a non perdere di vista il problema strutturale. Mi rendo conto che sia un argomento di complicatissima lettura, non affatto semplice da sintetizzare in una formula di immediata efficacia. La questione, in ogni caso, è di prioritaria importanza se si vuole cercare di promuovere per lo meno le basi di un futuro più concreto.
Criticare la politica senza dimenticare la struttura
La premessa è che criticare la politica italiana sia praticamente ineludibile. Troppe, troppe promesse mancate, addirittura quelle più basilari – se si parla del centrodestra – ovvero proprio le mosse di governo che tutti si aspettavano dal centrodestra medesimo, quanto meno sul fronte migratorio. L’esecutivo a guida Giorgia Meloni ha prodotto – fino ad oggi – solo briciole, sarebbe da ciechi non rendersene conto e da ingenui far finta di nulla in attesa di tempi migliori. Quindi ha senza dubbio ragione Matteo Brandi quando scrive su Facebook che puntare sulle “minacce” che questo o quel politico possano subire diventa un elemento di favoreggiamento alla tanto criticata “cultura del vincolo esterno” rappresentante il peggior male che il nostro Paese abbia sviluppato negli ultimi 80 anni. Non a caso, ho tranquillamente messo il like a quel post. Importante sottolineare un aspetto: Brandi è della segreteria di un partito politico giovane, i cui presupposti programmatici sono da me enormemente apprezzati e sostenuti. È anche logico dunque che il suo taglio non sia “esterno” alle scellerate dinamiche della politica italiana. Io faccio un mestiere diverso: provo – per il poco che è in mio potere – a suggerire delle azioni e delle visioni, inquadrate in un pensiero che spero sia quanto meno preso in considerazione. In quanto tale, la mia prospettiva non può puntare solo sulla sacrosanta critica ad una politica che ha paura di muoversi in qualsiasi direzione, ma cercare di evitare di dimenticare il problema strutturale, enormemente presente e suscettibile di diminuire le possibilità che la politica stessa, quella del futuro, sia più coraggiosa e più libera.
I limiti del sistema istituzionale italiano e i poteri contrastanti
Premesso per l’ennesima volta che siamo d’accordo sul fatto che un governo che non riesce a fare nulla e nemmeno ci prova sia indifendibile, con una magistratura simile non si può pensare di poter agire liberamente. La magistratura è il primo dei problemi da affrontare, perché si può avere tutto il coraggio necessario ma bisogna anche rendersi conto quanto sia estremamente difficile che lo sviluppino tutti i politici italiani, allo stesso modo e senza eccezioni. Se Matteo Salvini finisce due volte in tribunale per aver ostacolato le Ong nel Mediterraneo, occorre lavorare per un futuro in cui chiunque prenderà il suo posto non abbia la stessa sorte. Dunque il monito non è sulla critica sacrosanta, ma sulla necessità di non dimenticare la struttura. Mi auguro che chiunque nutra ambizioni di cambiamento da questo punto di vista – magari non pubblicamente, perché l’azione politica si concentra prima di tutto sull’attacco a chi, di fatto, ha tradito il mandato del popolo – non dimentichi mai questo aspetto. La parola d’ordine deve essere “equilibrio”. Tra l’attacco al coraggio inesistente e al livello infimo dei nostri sedicenti rappresentanti e la necessità di cambiare una struttura che rischia di rendere impossibile l’emersione di una classe dirigente diversa. Lo sottolineava già quel luminare di Gaetano Mosca, agli inizi del secolo scorso: la politica senza stabilità è nulla. Così come la lotta politica è una lotta di minoranze. Dobbiamo promuovere la nascita e la crescita di una nuova minoranza, autenticamente patriottica e in grado di perseguire finalmente l’interesse nazionale. Ma questa nuova minoranza dovrà trovarsi davanti una struttura agevole, a differenza di quella odierna.
Pragmatismo: approvare quando – per caso o meno – la politica avvia le riforme giuste
Premesso anche qui che il “più pulito ha la rogna”, e ribadendo per l’ennesima volta l’estrema mediocrità di una classe dirigente di sottoposti, a destra o a sinistra che siano, un aspetto da combattere e da cui non lasciarsi confondere è l’idea aprioristica che da essa non possa venire mai niente di buono. Non è così. Perfino il nemico può proporre per puro caso una riforma politica utile a sviluppare, in futuro, una classe dirigente di livello superiore. Magari perfino più coraggiosa, più intraprendente. Dunque se – sempre per puro caso – la politica propone un cambiamento dei rapporti tra parlamento e governo, ponendo fine ad un caos assoluto come quello di governi estremamente deboli e privi di quasi ogni potere, essa va accolta (e non si illudano i difensori aprioristici di questo sistema: l’unico motivo per cui nella Prima Repubblica ce ne siamo accorti poco è stato il dominio incontrastato della Democrazia Cristiana, il quale ha permesso di superare le schizofrenie di un sistema semi-ingovernabile). E se – sempre per puro caso – la politica propone di limitare una magistratura che è a tutti gli effetti il vero potere dominante delle scelte di questo Paese, sempre incline ai diktat dei vincoli esterni e del globalismo (e senza essere eletta da nessuno), essa non va contrastata. Insomma, non lasciarsi prendere dalla “legge del dissenso” senza riflettere. Perché se in uno scenario fantapolitico – al momento – un qualsiasi movimento del dissenso arriverà a governare l’Italia, con l’ostilità dei giudici dovrà confrontarsi alla prima scelta divergente.
Stelio Fergola