Roma, 4 gen – Si parla tanto dei sedicenti “settant’anni della Rai”, seguendo uno schema abbastanza triste già evidenziato nel caso di altri istituti di ordine diverso (si pensi alla previdenza, con l’Inps) volto ad escludere categoricamente il famigerato “ventennio fascista” da qualsiasi ruolo nella storia d’Italia.
Gli inventatissimi “70 anni di Rai”
Se l’Inps è magicamente nata nel 1898 (con tanto di modifica nella descrizione del sito ufficiale) perché non inventarsi che la Rai sia nata 70 anni fa? È quanto si sta leggendo, a riguardo, nel circo mediatico mainstream. Prima o dopo i “vent’anni da cancellare”, cambia in effetti poco. Basta che il fascismo non c’entri nulla con qualsiasi creazione, qualsiasi istituzione, qualsiasi riforma strutturale, sia essa sociale, economica, comunitaria o – come in questo caso – comunicativa.
La radio e la televisione italiana nascono negli anni Trenta, con buona pace dei fegati che scoppiano
Certamente, si punta sulla televisione. Sul 3 gennaio 1954, ovvero la prima data a partire dalla quale la Rai diffonde su tutto il territorio nazionale il segnale televisivo. Ma anche puntando su quello, la storia della Rai “nata 70 anni fa” non regge, perché le trasmissioni – sebbene non di massa – cominciano molto prima, addirittura nel 1934, quando l’ente si chiama ancora Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) ma ciò non gli impedisce di allestire i primimissimi studi televisivi e di avviare le prime trasmissioni sperimentali qualche anno dopo, nel 1939. Il tutto, peraltro, nel contesto di una struttura – l’Eiar, appunto – che era stata fondata addirittura nel 1927, concentrandosi esclusivamente sul mezzo di massa per eccellenza, ovvero la Radio. La stessa Eiar soppressa nel 1944 e riaperta poco dopo con il nuovo nome di Rai. I cui settant’anni diffusi ovunque sono come l’Inps “da centovencinque anni”: affari da frustrati.
Stelio Fergola