Roma, 27 feb – Può un fascista scrivere un assoluto capolavoro letterario? Secondo le coordinate ideologiche oggi dominanti, la risposta è ovviamente no. Perché – ci hanno spiegato – fascismo e cultura sono due termini antitetici. Il fascismo è bestialità sconfinata, mentre la cultura è sconfinata umanità. Tutto bellissimo, peccato solo che le cose non stiano affatto così. Se n’è dovuta rendere conto anche Repubblica, che sul suo supplemento del Venerdì ha dedicato un articolo a Lucien Rebatet, lo scrittore di punta della «collaborazione» francese e autore dei Due stendardi, romanzo monumentale appena tradotto in italiano da Settecolori. Un capolavoro di cui ci parla Claudio Siniscalchi nel nuovo numero del Primato Nazionale, in uscita il prossimo 6 marzo in tutte le edicole.
Rebatet la «canaglia»
Il contributo del Venerdì di Repubblica porta la firma di Massimo Raffaeli, filologo e critico letterario che, tra i tanti, ha tradotto anche Céline, altro gigante della letteratura francese (e mondiale) dalle simpatie politiche ben note e mal giudicate. Senza contare un suo saggio sui «fascisti di sinistra», ossia quegli intellettuali italiani che diedero lustro al regime mussoliniano con la loro arte e la loro passione politica, ma che nel dopoguerra smisero la camicia nera per riciclarsi nell’intellighenzia antifascista. Nel redigere la sua recensione, Raffaeli tradisce un evidente imbarazzo: come si può parlare di un capolavoro senza eguali come I due stendardi, senza farci risultare simpatico il mai pentito Rebatet? La risposta è semplice: descrivendo l’autore come una «canaglia», parlando di «pornografia razzista» dei suoi precedenti scritti, rendendolo di fatto complice dell’Olocausto («se lo era augurato»), e facendo pertanto apparire I due stendardi come un singolo (e singolare) lampo di luce in un abisso di tenebre.
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Tra Proust e Nietzsche
Naturalmente, questa è una lettura di comodo, che nasce dall’equivoco degli equivoci: un fascista non può generare arte. Incluso Rebatet. Non è ovviamente così, e il destino del suo romanzo lo conferma: non c’è un solo critico letterario che, a dispetto della damnatio memoriae calata sull’autore, non lo abbia definito un capolavoro. Come spiega Siniscalchi sul Primato Nazionale, abbiamo a che fare con un «romanzo metafisico, probabilmente il testo della finzione narrativa più articolato dell’epoca della secolarizzazione». Sospeso tra Proust e Nietzsche, prosegue Siniscalchi, «I due stendardi ha vari piani di lettura: romanzo d’amore; serrata critica della marcescenza dell’universo borghese e provinciale dei primi tre decenni del XX secolo; rappresentazione dell’universo modulata sui canoni della musica e della pittura; oggettivo superamento del monoteismo biblico, superamento che apre la via al paganesimo che eroicizza l’uomo».
Quel romanzo fascista che piaceva a Mitterrand
Del resto, si tratta di un romanzo universale che, tra i tanti, troverà un estimatore insospettabile: François Mitterrand. Il presidente francese dirà addirittura che «l’umanità si divide in due campi. Quelli che hanno letto I due stendardi e gli altri». Ecco, se non volete finire tra gli «altri» e intendete saperne di più su Rebatet e il suo romanzo, potete cominciare leggendo la presentazione che ne abbiamo fatto nel nuovo numero del Primato Nazionale, in uscita il 6 marzo in tutte le edicole. Perché la cultura è una cosa troppo seria per lasciarla ai questurini della memoria.
Valerio Benedetti
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