Roma, 27 ago – Quella che sta per finire è stata una pessima estate per i commercianti italiani e romani in particolare. A lanciare l’allarme è il presidente di Confesercenti Lazio, Valter Giammaria: “A Roma vi sono ormai diecimila negozi sfitti, ogni anno nella Capitale chiudono duemila imprese ed il cambio di gestione delle aziende è continuo, raggiungendo l’altissima media del 25%: ogni anno, insomma, un negozio su quattro si modifica e cambia attività”. La notizia è stata riportata dal Corriere della Sera qualche giorno fa. Questi dati non sono certo una novità. Solo a Roma, nei primi sei mesi del 2017 si è registrata la chiusura di seicento negozi, che vanno a sommarsi ai 2000 del 2016. Inoltre, il periodo dei saldi si è rivelato un flop. Si preannuncia, pertanto, un autunno difficile. Senza contare che a settembre gli esercenti dovranno tornare a fare i conti con le prossime scadenze fiscali.
Secondo Giammaria: “Si può sperare in una ripresa solo se c’è un’inversione di tendenza molto forte e se c’è, come si dice, una seria riduzione delle tasse. Altrimenti il rilancio non ci sarà”. Il dirigente di Confesercenti inoltre sottolinea i danni che il settore sta subendo a causa dell’abusivismo: “La vendita dei prodotti contraffatti, a livello regionale, si aggira su due miliardi e 350 milioni, ma la complessità dell’abusivismo in generale fa arrivare il giro d’affari a dieci miliardi”. I commercianti al contrario dei loro “colleghi che lavorano in nero” sono soffocati da tasse e burocrazia. La crisi, dunque, non colpisce tutti. E non parliamo solo di chi vende borse contraffatte agli angoli delle strade. I commercianti cinesi, per esempio, non se la passano male. Secondo l’Ufficio studi della Cgia, al 31 dicembre 2017 gli imprenditori stranieri operanti in Italia hanno toccato quota 805.477 (+ 2,5% rispetto al 2016) e l’etnia più numerosa è diventata quella cinese.
Nel complesso l’imprenditoria straniera è aumentata e nel 2017 ha raggiunto la soglia dell’8,8 % del totale Italia (nel 2009 la quota era del 6,2 %). Nello stesso arco temporale, invece, gli italiani sono scesi da 8,9 a meno di 8,3 milioni (pari al – 7,5%). I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori provenienti dall’ “impero celeste” sono il commercio/venditori ambulanti, con 26.200 titolari, il manifatturiero, con poco più di 20.000 soggetti (quasi tutti impiegati nel tessile-abbigliamento e calzature) e la ristorazione-alberghi e bar, con oltre 18.000 imprenditori. Se analizziamo con più attenzione le tabelle presenti nel report degli artigiani mestrini notiamo che nel Lazio il numero di imprenditori cinesi è cresciuto del 56,4% negli ultimi otto anni e del 3,6% rispetto al 2016.
In conclusione, a parità di tasse e di incombenze burocratiche non si capisce perché gli allogeni, al contrario degli italiani, riescono a tenere in piedi le loro aziende. Esclusa la tesi della “superiorità della razza asiatica”, l’unica spiegazione plausibile è quella dei mancati controlli nei confronti delle imprese gestite dagli stranieri.
Salvatore Recupero
Commercianti italiani in crisi: si salvano solo abusivi e stranieri
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1 commento
[…] Se qualcuno pensa che sono più bravi degli italiani si sbaglia di grosso. I dipendenti, sono nella stragrande maggioranza dei casi, parenti o affini su cui si impone il potere del capo famiglia. Se poi arrivano i controlli della Guardia di Finanza si fa presto a cambiare gestione e a ricominciare daccapo. […]