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Alle radici della nostra civiltà. Sardi ed etruschi negli straordinari studi di Massimo Pittau

by La Redazione
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Roma, 25 mar – Nel grigio conformismo del mondo accademico dell’Italia di oggi, che è pari solo all’intricato groviglio di interessi carrieristici, affaristici e politici che ammorba la vita delle nostre Università, esiste da sempre una schiera di studiosi coraggiosi e tenaci, che conducono in modo innovativo e anticonformista i propri studi, finendo per svolgere il ruolo della proverbiale Vox clamantis in deserto e per essere apprezzati più dai posteri che dai contemporanei. Se questo accade in ogni campo di studi, tanto più ciò si verifica nell’ambito della Linguistica e soprattutto nello studio delle lingue estinte, terreno quanto mai aperto alla massima opinabilità delle ricostruzioni teoriche, quanto mai bisognoso dell’apporto interdisciplinare che altre scienze (storia, antropologia, archeologia, etc.) possono fornire e pure soggetto al rischio di strumentalizzazioni politico-ideologiche di varia natura. In quest’ambito, Massimo Pittau rappresenta senz’altro un orgoglio accademico dell’Italia e della Sardegna, per avere dedicato la propria vita di studioso all’approfondimento della lingua e delle origini di due tra i popoli più antichi e misteriosi tra quelli che costituiscono il substrato etnico dell’attuale popolazione italiana: i Sardi e gli Etruschi.

Originario di Nuoro, dove è nato nel 1921, Massimo Pittau ha dedicato al dialetto della propria città natale la tesi di laurea in Lettere conseguita all’Università di Torino, sotto la guida di Matteo Bartoli. Dopo una seconda laurea presso l’Università di Cagliari in Filosofia e un perfezionamento alla Facoltà di Lettere di Firenze, dove è stato allievo tra gli altri del grande Giacomo Devoto, nel 1959 ha conseguito la libera docenza e nel 1971 la cattedra in Linguistica Sarda nell’Università di Sassari, tenendo anche gli incarichi di Glottologia e Linguistica Generale. Di particolare importanza per la sua formazione sono stati anche il cospicuo carteggio epistolare con il grande linguista Max Leopold Wagner, maestro della linguistica sarda, e l’appartenenza quale socio effettivo alla Società Italiana di Glottologia e al Sodalizio Glottologico Milanese. Ha pubblicato circa 50 libri e di più di 400 studi nelle materie di sua competenza, risultando vincitore dei vari premi letterari.

Pur spaziando l’opera del Pittau in vari ambiti, nel presente articolo ci si soffermerà unicamente sugli studi riguardanti la lingua, la storia e la civiltà dei Proto-sardi e degli Etruschi e il rapporto o eventuale parentela tra le due civiltà. La prima opera in cui il Pittau si interessa di problemi storici della Sardegna antica è La Sardegna Nuragica (1977), che si interessa dell’annosa questione della funzione dei nuraghi. Contrariamente alla tesi del Taramelli e del Guru dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu, che consideravano i nuraghi come edifici militari, ovvero fortezze o castelli, presso i quali risiedeva l’aristocrazia nuragica e si radunava la popolazione in caso di pericolo, Massimo Pittau teorizzò per primo la natura di edifici religiosi dei nuraghi, cioè luoghi di culto delle comunità, quelli più grandi, cappelle tribali o anche familiari, quelli più piccoli. In questo, tra i ricercatori sardi, si confronti la tesi di Mauro Peppino Zedda in Archeologia del paesaggio nuragico (2009), in modo leggermente diverso ma non incompatibile con quello del Pittau, risolve per l’identificazione dei nuraghi quali torri astronomiche.

Dopo questo primo studio, di natura storico-archeologica, il Pittau tornò al campo a lui proprio, ovvero quello degli studi linguistici, con opere quali La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi (1981), la cui tematica è stata più tardi ripresa da Origine e parentela dei sardi e degli etruschi. Saggio storico-linguistico (1995). Pittau cominciò così ad approfondire il tema dell’origine e dell’appartenenza a una delle famiglie linguistiche conosciute dell’idioma che i Sardi parlavano prima della latinizzazione conseguente alla dominazione romana della Sardegna (238 a.C.-456 d.C.). Il nucleo originario di questa lingua proto-sarda viene ricondotto dal Pittau all’area geografica dell’Anatolia (odierna Turchia) e molto probabilmente alla Lidia. Non può sicuramente essere un caso, tra l’altro, che la capitale dell’antica Lidia portasse proprio il nome di Sardi. Questa lingua proto-sarda, inoltre, viene messa in connessione con quella etrusca, anch’essa ritenuta di matrice anatolica e lidia. Allo stesso tempo, veniva individuata l’esistenza di numerosi vocaboli appartenenti al sostrato mediterraneo, con riscontri lessicali in tutta l’area geografica italiana (penisola italiana, Corsica, Sicilia) e un molto meno consistente sostrato paleo-iberico e delle lingue dell’antica Africa settentrionale. Gli studi del Pittau portarono alla pubblicazione di testi fondamentali, aventi natura istituzionale nella materia della linguistica proto-sarda, quali La lingua sardiana o dei protosardi (2001) o, per restare in un ambito più specialistico, il Lessico etrusco-latino comparato col nuragico (1984). Del resto, le stesse fonti classiche e i ritrovamenti archeologici testimoniano di un innegabile relazione tra Sardi ed Etruschi sin da epoche lontanissime: si pensi ai molteplici ritrovamenti di manufatti di origine sarda nelle tombe etrusche e nell’affermazione del latino Festo, secondo cui «Soliti sunt esse reges Etruscorum, qui Sardi appellantur. Quia gens etrusca, orta est Sardibus».

Ben presto, Pittau diresse i propri studi in modo più specifico verso l’approfondimento grammaticale e lessicale delle strutture e del vocabolario della lingua etrusca, della quale aveva messo in evidenza le connessioni con la lingua proto-sarda, e di cui affrontò altresì il ponderoso problema delle origini. Alla lingua etrusca Pittau ha dedicato oltre 30 anni di studi e ben 12 libri e un centinaio di articoli in riviste specializzate, considerevolmente più di ogni altro studioso vivente. Egli ha convintamente sostenuto la necessità di porre termine al maldestro pregiudizio, secondo cui la lingua etrusca sarebbe misteriosa e in attesa di una decifrazione. Tra le opere più cospicue e, per così dire, maggiormente istituzionali di Pittau sulla lingua etrusca, corre obbligo di citarne in primo luogo due. Il primo è La lingua etrusca. Grammatica e lessico (1997), è un pregevole testo di riferimento per la conoscenza della lingua etrusca, che nella sua linearità e chiarezza, risulta estremamente convincente nell’evidenziare le innegabili somiglianze strutturali che si possono riscontrare nell’esame della declinazione in casi dei sostantivi e nella coniugazione dei verbi tra l’etrusco e le altre lingue indoeuropee. Il secondo è il Dizionario della lingua etrusca (2005), in assoluto il primo e finora unico vocabolario generale mai pubblicato sulla lingua etrusca. Altre opere di notevole importanza, che il Pittau ha pubblicato sul problema della lingua etrusca, sono il Dizionario comparativo latino-etrusco (2009) e Testi etruschi tradotti e commentati. Con vocabolario (1990), contenente l’interpretazione e la traduzione di 13 maggiori testi della lingua etrusca pervenuti fino a noi (Liber linteus della Mummia di Zagabria, Tabula Capuana, Tabula Cortonensis, Cippus di Perugia, Lamine auree di Pirgi, Fegato di Piacenza, Elogio funebre di Laris Pulenas, Defixio di Monte Pitti, Scritta di San Manno di Perugia, Scritta dell’Arringatore, Scritta sepolcrale dei Claudii, Iscrizione del Guerriero, Lamina di Magliano). La tesi dell’appartenenza dell’etrusco alla grande famiglia delle lingue indoeuropee, come ricorda il Pittau, è stata sostenuta da numerosi linguisti del passato e (in misura crescente) del presente, come W. Corssen, S. Bugge, I. Thomopoulos, E. Vetter, A. Trombetti, E. Sapir, G. Buonamici, E. Goldmann, P. Kretschmer, F. Ribezzo, F. Schachermayr, A. Carnoy, V.I. Georgiev, W.M. Austin, R.W. Wescott, A. Morandi, F.C. Woodhuizen, F. Bader, F.R. Adrados. In particolare, devono essere ricordati gli studi del grande linguista bulgaro Vladimir Ivanov Georgiev, membro tra l’altro dell’Accademia delle Scienze di Mosca, che in opere come Introduzione allo studio delle lingue indoeuropee (1966) e La lingua e l’origine degli etruschi (1979) mette in relazione l’etrusco con l’ittita, confermando l’origine indoeuropea anatolica dell’idioma tirrenico, la sua parentela con la lingua di Lemno e la stretta connessione intercorrente tra la realtà storica e il mito dell’emigrazione troiana verso le coste del Lazio e tirrenica dalla Lidia, che adombrerebbero un flusso migratorio dall’Anatolia all’Italia alla fine del II millennio a.C.. Questa tesi, peraltro, è stata recentemente ripresa dall’italiano Leonardo Magini in L’etrusco, lingua dell’Oriente indoeuropeo (2007). Le ricerche sul DNA, peraltro, dimostrano che effettivamente vi sono affinità consistenti tra gruppi di Toscani odierni a popolazioni dell’Asia Minore e analoghi studi individuano parentele genetiche tra Sardi e Toscani. Questo, ancora una volta, confermerebbe la tesi tradizionale della storiografia antica, in origine sostenuta da Erodoto e poi ripresa da altri 30 autori greci e latini, secondo cui gli Etruschi vennero in Toscana dalla Lidia.

Per inciso, anche la tradizione mitologica e religiosa conferma l’appartenenza degli etruschi alla famiglia indoeuropea. Il pantheon etrusco è sovrapponibile a quello indoeuropeo, in particolare greco e romano. La triade suprema costituita da Tinia (Giove), Uni (Giunone) e Menrva (Minerva) è identica a quella capitolina. Il mito delle origini della Roma indoeuropea ci tramanda che le tre tribù che contribuirono alla costituzione della città furono i Ramnes latini, i Tities sabini e i Luceres, di stirpe etrusca e di casta guerriera. Sempre dagli Etruschi vennero a Roma i simboli del potere, come la sella curule dei consoli e il fascio littorio. Lo Stato romano finanziava le scuole sapienziali di Arezzo e Perugia, dove si tramandava l’arte degli aruspici, praticata almeno fino al V secolo d.C..

La tesi di Massimo Pittau sull’origine indoeuropea del sardo e dell’etrusco e sulla parentela tra di loro delle due lingue estinte non ha mancato di sollevare obiezioni e anche critiche, a volte non completamente serene. Ad esempio, un deciso avversario delle tesi di Massimo Pittau è il catalano Eduardo Blasco Ferrer, già ordinario all’Università di Cagliari, deceduto nel 2017. Secondo l’accademico iberico, «la Comunità scientifica ha già stroncato in più sedi internazionali le note ipotesi sulla parentela del Paleosardo con l’Etrusco (Massimo Pittau) e quella più recente che considera la lingua encorica dell’Isola un sistema italide vicino al Latino (Mario Alinei)». Massimo Pittau ha risposto che «con disonestà scientifica e pure umana, il Blasco non ha citato nessun autore e nessuno scritto» a sostegno delle sue tesi e che «per giudicare quella ipotesi è necessario conoscere bene sia il Paleosardo sia l’Etrusco ed è del tutto certo che il Blasco non conosce né l’una né l’altra lingua, per cui parla a vanvera di cose che non conosce». Blasco Ferrer, in effetti, è principalmente uno studioso di lingue romanze e nella sua bibliografia, fino al 2010 (anno della pubblicazione di «Paleosardo. Le radici linguistiche della Sardegna neolitica») non figurava alcuno studio sul proto-sardo o sull’etrusco, a fronte della vastissima produzione del Pittau nelle suddette materie. E’ appena il caso di rammentare, peraltro, che oltre a quella del Pittau esistono posizioni di altri autori contemporanei che ascrivono il proto-sardo alla famiglia indoeuropea, anche se a rami diversi da quello anatolico ipotizzato dal Pittau: tra questi Marcello Pili, professore dell’Università La Sapienza e Mario Ligia (ipotesi micenea), Alberto Areddu e Salvatore Mele (ipotesi illirica), oltre all’oristanese Gigi Sanna che ha ipotizzato, sulla base dell’interpretazione di alcuni reperti archeologici, che i proto-sardi parlassero una lingua indoeuropea affine al latino, utilizzando però un alfabeto di tipo semitico. Secondo Giovanni Ugas, invece, sarebbero preindoeuropei (liguri) i Corsi della Gallura, indoeuropei (provenienti dalla penisola iberica)i Balari della Sardegna settentrionale e non indoeuropei gli Iolei della Sardegna meridionale.

Negli anni più recenti, Massimo Pittau ha ripreso a occuparsi del filone storico delle sue ricerche, con opere quali «Ulisse e Nausica in Sardegna», (1994) e soprattutto con «Storia dei sardi nuragici» (2007) finora la prima e unica opera che si impegna nella ricostruzione unitaria della storia dei Sardi Nuragici come popolo. L’Autore, che ha sempre interpretato i fatti storici alla luce delle testimonianze linguistiche, è arrivato a determinate conclusioni concernenti la più remota storia dell’Isola e del Mediterraneo occidentale. In particolare ha affermato la «strettissima parentela genetica e anche linguistica dei Nuragici con gli Etruschi», con il corollario della probabile ipotesi di una emigrazione lidio-anatolica che ha toccato in un primo momento la Sardegna e solo in un secondo momento le sponde dell’attuale Toscana. Pittau ha evidenziato il ruolo geopolitico assai importante svolto dalla Sardegna e dai Sardi Nuragici nel II millennio a.C., confermato anche dalla politica delle alleanze e dalla partecipazione alle vicende dei Popoli del Mare e in particolare all’invasione dell’Egitto. Ha infine identificato la Sardegna con l’isola dei Feaci, dove, secondo il racconto dell’Odissea omerica, sarebbe approdato il naufrago Ulisse, accolto dalla principessa Nausica e dal re Alcinoo. Dato che la narrazione dell’Odissea ha come collocazione geografica il Mediterraneo centrale e come epoca di riferimento il secolo XIII a.C., per spiegare l’incongruenza per cui l’Odissea non cita mai la Sardegna, all’epoca sede della più importante civiltà del Mediterraneo occidentale, si deve ritenere che il poeta si sia riferito ad essa chiamandola in un altro modo, cioè Scherìa o isola dei Feaci. In base alla conformazione dell’isola di Tavolara e al suo aspetto di nave pietrificata come quella mitica dei Feaci, Massimo Pittau ha localizzato la civiltà dei Feaci nell’attuale Gallura e la loro capitale sul sito della futura Olbia. Nel suo libro «Il Sardus Pater e i guerrieri di Monte Prama» (2008), Pittau ha argomentato che i 24 Guerrieri di Monte Prama di Cabras (OR) erano le statue-colonna che decoravano il grande tempio del Sardus Pater, ubicato nel Sinis (litorale oristanese) e citato dal famosissimo geografo ed astronomo greco-alessandrino Claudio Tolomeo.

In ultimo Massimo Pittau, nel suo libro «Gli antichi Sardi fra i Popoli del Mare» (2012), ha approfondito il tema dei numerosi reperti di origine egizia presenti in Sardegna. Dopo aver osservato che i suddetti reperti non potevano essere stati importati in Sardegna dagli Egizi, che mai hanno intrapreso traffici marittimi a lunga percorrenza, né dai Fenici, il cui arrivo risale a molti secoli dopo l’epoca a cui risale buona parte dei suddetti reperti, Massimo Pittau ha concluso che il ricco materiale religioso egizio, assieme con la pratica della religione egizia, è stati importato in Sardegna dai Sardi stessi, gli antichi Shardana, all’epoca della loro partecipazione alle imprese dei Popoli del Mare in Egitto. Più controversa, invece, è l’identificazione da parte di Pittau dei Nuragici con gli Shardana, considerato che molti altri autori ritengono i primi, costruttori dei Nuraghi, come antecedenti ai secondi. Pittau consegna a noi contemporanei e ai posteri il risultato di una vita di ricerche, con la certezza che in un futuro non lontano il suo nome sarà riconosciuto e celebrato come quello di uno degli indagatori più attenti e geniali del passato della nostra gente e in particolare della storia e dell’idioma dei nostri progenitori Etruschi e Sardi.

Carlo Altoviti

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2 comments

rino 26 Marzo 2018 - 11:28

Complimenti. Bell’articolo davvero!

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Dalla Sardegna all’Egitto: nuovi studi sul mito dei biondi Shardana a guardia del Faraone | NUTesla | The Informant 26 Maggio 2022 - 9:17

[…] storica anche fuori dalla misteriosa isola: questa volta, tra ipotesi e polemiche, la civiltà nuragica sta conquistando il territorio archeologico dell’antico Egitto con nuovi studi sui mitici […]

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