Roma, 27 dic – Nonostante gli andirivieni degli ultimi giorni, il prezzo del petrolio si mantiene stabile al di sotto dei 40 dollari al barile. E’ il valore più basso degli ultimi dieci anni, nei quali arrivò – era il lontano 2008 – a sfiorare addirittura i 150. Acqua passata secondo gli analisti, che non prevedono aumenti significativi almeno per tutto l’anno prossimo. Ciò significa che, rispetto ai 100-110 di media del periodo 2011-2014, siamo a meno della metà del prezzo: in alcune stazioni di servizio il gasolio è addirittura sceso al di sotto della soglia “psicologica” degli 1.2 euro al litro. Il vistoso calo del greggio non si traduce però in riduzioni altrettanto evidenti al momento di fare il pieno, sia esso di benzina o diesel. Certo, i listini sono stati ritoccati al ribasso, ma l’impressione degli automobilisti è che non vi sia una corrispondenza. Perché questo disallineamento?
Anzitutto occorre precisare che, per arrivare dal prezzo di mercato al distributore, occorrono alcune settimane. Si tratta di un intervallo tecnico dovuto ai tempi di raffnazione, trasporto ed erogazione del carburante. Il peso di questo lasso di tempo, tuttavia, è quasi ininfluente se messo a confronto con il vero responsabile della mancata discesa dei prezzi, vale a dire l’avidità del fisco. A fare la parte del leone sul costo finale alla pompa sono infatti tutta la serie di imposte e accise che gravano su verde e nafta. A partire dall’Iva, che dal 2011 ad oggi è passata progressivamente dal 20 al 22%. L’imposta sul valore aggiunto è però proporzionale, dipende quindi dal valore del carburante. Non è invece così per le accise, prelievo secco non parametrato al prezzo bensì alla quantità. E qui le sorprese non mancano: secondo dati del ministero dello Sviluppo, per la benzina paghiamo in accise 0.728 euro ogni litro, per il diesel poco meno, 0.617. Per quanto riguarda ad esempio la benzina, su un prezzo di produzione attorno agli 0.4-0.5 euro al litro, fra Iva e accise il costo per il rifornimento triplica agevolmente. Ammettendo anche, per assurdo, che il prezzo del barile fosse 0 e non vi fossero costi di raffinazione, l’Iva verrebbe sì azzerata ma continueremmo a pagare 0.728 euro al litro per la verde e 0.617 per il gasolio. Ciò significa, in definitiva, che quasi il 60% di ciò che paghiamo per il pieno finisce nelle tasche dello Stato.
Con il tempo, la situazione non sembra migliorare. Lo spiega la Cgia di Mestre: “Se verso la fine del 2008 il peso dell’Iva e delle accise su un litro di benzina sfiorava i 75 centesimi, attualmente è pari a 0,99 euro al litro. In termini percentuali l’aumento della tassazione è stato del 32 per cento”, scrive il capo dell’ufficio studi, Paolo Zabeo. “Solo i Paesi Bassi- continua Zabeo – con il 70,3 per cento, hanno un’incidenza percentuale della tassazione sul prezzo alla pompa superiore alla nostra che ha raggiunto il 68,2 per cento. Rispetto ai paesi che confinano con noi, invece, paghiamo la benzina il 14,4 per cento più dei francesi, il 18,9 per cento più degli sloveni e addirittura il 30,7 per cento più degli austriaci“.
“Un taglio della componente fiscale – conclude il segretario della Cgia, Renato Mason – oltre agli automobilisti avvantaggerebbe anche i piccoli trasportatori, gli autonoleggiatori, i taxisti, i padroncini e gli agenti di commercio che per l’ esercizio della propria attività il carburante costituisce una delle principali voci di costo”.
Filippo Burla