Venezia, 30 mar – In pieno centro a Venezia questa notte è stata sgominata una cellula jihadista che progettava attacchi in Italia. Come riportavamo stamani nell’articolo di apertura del nostro giornale, il blitz di polizia e carabinieri ha portato all’arresto di tre persone e al fermo di un minorenne. Si tratta di immigrati kosovari che risiedono in Italia con regolare permesso di soggiorno. Emergono quindi due aspetti preoccupanti.
Intanto abbiamo la conferma che il pericolo terrorismo è sempre più evidente, visto che a meno di 300 km dalle nostre coste c’è uno Stato di recente e discutibile costituzione, il Kosovo, a maggioranza musulmana e che nelle intenzioni di alcuni capi jihadisti dovrebbe diventare una sorta di avamposto del califfato targato Isis in Europa. Il secondo aspetto inquietante è la presenza di immigrati regolari radicalizzati e disposti a compiere attentanti in Italia. Gli arresti di stanotte ci dicono che tra questi vi sono anche minorenni e ciò dovrebbe quantomeno far dubitare dell’opportunità di una legge come quella approvata ieri alla Camera che impedisce il respingimento dei minorenni che arrivano in Italia da qualunque Paese senza essere accompagnati dalla famiglia. Norma che in più garantisce loro gli stessi diritti dei coetanei italiani. L’attentatore di Berlino Anis Amri sbarcò a Lampedusa a 18 anni appena compiuti, da solo. Sei anni dopo ha compiuto una strage nella capitale tedesca per poi tentare la fuga di nuovo in Italia. Oggi un potenziale attentatore minorenne è stato arrestato a Venezia.
Ma il Veneto, anche per via della vicinanza con i paesi balcanici, non è nuovo a campanelli d’allarme di questo tipo. Mohammed Lahsni, islamico marocchino, il 25 settembre 2004 uccise la figlia a Padova a bastonate perché “era troppo occidentalizzata”. Uscito dal carcere undici anni dopo, prima di essere essere rispedito in Marocco ebbe modo di farsi apprezzare dal giudice che lo aveva condannato: “Disprezza ancora la nostra società”, affermò il magistrato. Lo stesso giorno in cui Anis Amri, l’attentatore di Berlino, fu ucciso dalla polizia a Sesto San Giovanni, venne espulso dall’Italia Ridha Aissaoui, un tunisino che a Treviso faceva lo spacciatore davanti alle scuole e in carcere a Padova si era radicalizzato. Storia comune a molti jihadisti in fieri o effettivi, passati dai piccoli reati comuni (in particolare legati a storie di droga) al terrorismo islamista.Nel maggio 2016 uno sloveno residente in Veneto è stato arrestato per essere un presunto combattente dello Stato islamico e aver addestrato nel reclutamento aspiranti combattenti dell’Isis.
A Venezia, lo scorso 21 gennaio, la procura antiterrorismo ha avviato un’indagine sulla tunisina Sonia Khediri, ragazzina residente in provincia di Treviso, che avrebbe seguito il richiamo dello Stato islamico in Siria dopo il caso di Meriem Rehaily, 21enne marocchina a sua volta partita per la Siria nel 2014 per arruolarsi nel califfato. Ed è sempre a Venezia che nel 2014 la procura distrettuale, lavorando a stretto contatto con i Ros di Padova, avviò un’inchiesta su “Ismar il veneto” per ricostruire la fuga in Siria di Ismar Mesinovic, bosniaco (nel 1995 a guerra dei Balcani terminata arrivarono nel Nord Est italiano 6 mila bosniaci prevalentemente islamici) appartenente a una cellula jihadista radicata tra Friuli e Veneto. Salterà fuori una fitta rete di contatti con lo Stato islamico.
C’è quindi una trama complessa e al contempo allarmante che porta ai jihadisti annidati in Veneto e che non è così facilmente decifrabile, soprattutto a causa di una scellerata politica immigratoria. Perché dagli arresti di oggi e dai precedenti sopra menzionati, si evince che i terroristi possono essere molto giovani, anche minorenni. Non sono cani sciolti ma hanno spesso una fitta rete di contatti e complici, usufruiscono di leggi e permessi che garantiscono loro la possibilità di stanziare a lungo in Italia anche lavorando (Ismar Mesinovic era un imbianchino “che si faceva ben volere”), non provengono tutti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Bosnia e Kosovo ne sono la dimostrazione.
Eugenio Palazzini