Roma, 4 feb – Si terrà a Parigi il 5 aprile prossimo, nella splendida cornice della Maison de la Chimie, il XII Colloquio dell’Istituto Iliade, realtà culturale d’avanguardia del pensiero radicale europeo nata nel 2013 con la missione di preservare e trasmettere la lunga memoria dei popoli europei. Un obiettivo che non è mai stato declinato in senso “conservatore”, ma come orizzonte di sfida a fronte dei grandi cambiamenti che ci apprestiamo a vivere: ogni anno l’Iliade per il proprio colloquio traccia un tema, che quest’anno sarà “Pensare il lavoro di domani: identità, comunità, potenza“. Pubblichiamo il bando, scritto da Henri Levavasseur e tradotto per l’Italia.
Alle origini della parola lavoro
Globalizzazione e finanziarizzazione, deindustrializzazione e terziarizzazione, digitalizzazione e dematerializzazione, esternalizzazione, precarizzazione e robotizzazione: nel giro di pochi decenni, il lavoro ha subìto profonde trasformazioni, suscitando tensioni, disillusioni e preoccupazioni che ci portano a interrogarci sul suo posto nella nostra vita e nella nostra società. Il lavoro è in crisi. Dobbiamo quindi “ripensarlo”, ma anche immaginare nuovi modi per “reincantarlo”, nel contesto della nuova comunità di destini che l’Europa deve costruirsi. I Greci e i Romani distinguevano tra lavoro alienante (ponos, labor) e attività creativa (ergon et poiesis, opus), strettamente associata al logos. Il primo non era adatto all’uomo libero e al cittadino, che doveva invece imparare a coltivare l’otium, il tempo dedicato allo studio e alla meditazione, oltre al negotium, il dominio della produzione e del profitto commerciale. La società medievale era divisa in tre ordini, ereditati da un’antica struttura indoeuropea: i laboratores dovevano essere produttivi per garantirsi la sussistenza, mentre il maneggio delle due spade, spirituale e temporale, spettava agli oratores e ai bellatores. La pratica di un mestiere, vista dalla Chiesa come mezzo di redenzione e santificazione, aveva una dimensione profondamente comunitaria, nel quadro di comunità di villaggio, corporazioni e gilde, dove prevaleva l’ideale del “lavoro ben fatto”.
Il lavoro dalla Riforma alla mobilitazione totale
Sulla scia della Riforma protestante, seguita dalle teorie liberali inglesi dell’Illuminismo e da quelle marxiste del secolo successivo, si affermò gradualmente in Occidente una nuova concezione del lavoro, essenzialmente utilitaristica e mercantile, in profonda rottura con le concezioni antiche e medievali. Apparsa con l’ascesa del capitalismo manifatturiero, la nozione di lavoro ridotto alla sua dimensione strettamente materiale fu un’invenzione della modernità. Come concetto intrinsecamente legato alla ricerca della produttività e governato unicamente dalla razionalità economica, il lavoro divenne un “valore” determinante all’interno della società nel suo complesso. Nel XX secolo, l’ascesa della meccanizzazione e l’età delle masse hanno portato alla “mobilitazione totale” delle forze produttive, cosicché l’intera attività umana tendeva a diventare interamente quantificabile e l’uomo stesso diventava un ingranaggio dei processi tecnici ed economici globali. Nulla sembrava poter mettere in discussione questo sviluppo. Eppure, sembra che il lavoro sia un valore messo in discussione in tutto il mondo occidentale contemporaneo. È la fine di un ciclo?
L’accelerazione tecnologica
Con l’accelerazione delle rivoluzioni tecnologiche, il lavoro sta subendo cambiamenti radicali, accentuando tendenze di lunga data: la sensazione di perdita di significato del proprio lavoro, la dipendenza da futili attività di svago, la scomparsa della dimensione comunitaria, l’espansione del mondo virtuale, la distruzione dei posti di lavoro e la trasformazione del lavoratore in una parte intercambiabile della “macchina manageriale”. Inoltre, in un momento in cui la competizione tra le grandi potenze si intensifica e suona la campana a morto per le illusioni della “globalizzazione felice”, le scelte fatte dai nostri leader negli ultimi decenni stanno mettendo i popoli e le nazioni europee in una posizione di preoccupante vulnerabilità: perdita di sovranità energetica e tecnologica, deindustrializzazione e terziarizzazione eccessiva, ricorso a una forza lavoro extraeuropea poco qualificata e a basso costo, un vero e proprio esercito di riserva per il capitale, destinato a soddisfare la pigrizia dei consumatori e l’avidità commerciale dei gruppi di interesse privati, mentre i governi si sgretolano sotto il peso del debito. Questo declino probabilmente non è inevitabile, a patto che gli europei riprendano in mano il loro destino e si dimostrino capaci di pensare al lavoro di domani in termini di identità, comunità e sovranità: è attingendo ai valori duraturi della loro civiltà, ma anche dimostrando inventiva, che potranno ridare senso ed efficienza alla loro attività produttiva, e tornare a concepire il lavoro come un percorso di eccellenza e uno strumento di potere. La conquista di un’autonomia strategica per il continente europeo è il primo ed essenziale passo di questo rinnovamento. Richiede decisioni eminentemente politiche e non esclusivamente considerazioni finanziarie miopi. Ma presuppone anche un’autentica ripresa intellettuale e morale, in cui anche le dimensioni spirituali ed estetiche giocheranno un ruolo fondamentale: per ridare senso al lavoro, è importante superare la visione strettamente materialistica, individualistica e utilitaristica dell’attività umana, per collocarla nella prospettiva di un destino storico comune.
Senso delle proporzioni e volontà di potenza
Al di là di queste considerazioni, gli europei devono anche riprendere il controllo del proprio tempo, per sostituire l’approccio consumistico al tempo libero con il gusto dell’otium, il tempo libero che solleva l’anima e lo spirito. È proprio questa una delle prospettive offerte dallo sviluppo tecnologico, a patto che la padronanza di quest’ultimo sia conquistata da una nuova élite inventiva, la cui visione del mondo saprà coniugare il senso delle proporzioni con la volontà di potenza. Queste sono le strade che l’Istituto Iliade intende esplorare nell’ambito della sua dodicesima conferenza e del secondo Quaderno del Polo di Studi, che sarà pubblicato in occasione dell’evento.
Henri Levavasseur