Roma, 13 ott – Mentre l’Europa crea generazioni su generazioni di giovani nevrotici, insicuri, complessati, sbigottiti di fronte a un mondo sempre più duro a cui non sono preparati, le ingegnose menti dei pedagoghi occidentali sanno solo immaginare scuole con “voti poetici” e “momenti del cerchio”. Prendiamo il progetto di Francesca Antonacci e Monica Guerra, ricercatrici dell’università Bicocca di Milano, a cui Repubblica dedica un imperdibile articolo. Pronti a fare un salto nel delirio? Andiamo, allora. “Il nostro obiettivo – spiega Francesca Antonacci – è raccogliere le idee innovative sulla scuola, in materia di didattica e di filosofia dell’educazione e tradurle in una sperimentazione concreta. La valutazione numerica, per esempio, rischia di mortificare l’allievo e di far nascere un pericoloso meccanismo, quello che porta il bambino a ‘sentirsi’ quel voto. Dare una valutazione poetica e descrittiva significa rispettare tutto il mondo nascosto e non misurabile che accompagna il percorso di ogni studente. Lo scopo è arrivare a una valutazione reciproca, in cui i bambini si confrontano con gli insegnanti e discutono di quanto hanno imparato”.
È curioso come più si costruisce un mondo spietato “fuori”, più ci si impegna a rendere la scuola dolce, non traumatica, tanto da eliminare persino un banale momento di valutazione a cui sono sopravvissuti indenni generazioni di studenti. Ma cosa accade quando gli studenti escono da questa realtà ovattata ed entrano nel mondo reale? Probabilmente la risposta è nelle scritte con i gessetti sul selciato di Bruxelles. Ma andiamo avanti. “Nella scansione delle attività che abbiamo immaginato noi, la giornata inizia sempre con il momento ‘del cerchio’, in cui ci si raccontano emozioni e stati d’animo. Poi spazio ad attività esperienziali multidisciplinari, laboratori creativo-espressivi, lavori di gruppo ed escursioni nella natura. Il pranzo viene condiviso con i docenti e diventa l’occasione per parlare dei principi di una sana alimentazione. Il tutto suddiviso in un orario settimanale di 30 o 40 ore, in cui venga dato molto spazio anche al gioco”.
Ancora con questo culto delle “emozioni” che già tanto danno ha fatto. Ma che bisogno hanno i bambini di raccontare i loro stati d’animo, quando non fanno praticamente altro? Ovviamente in questa utopia fricchettona fuori tempo massimo non sono contemplati i compiti a casa. E la tabellina del 7, gli affluenti del Po, la data della scoperta dell’America? Retaggi superati di una scuola insensibile alle emozioni, probabilmente. Se tutto questo vi sembra il parto delirante di menti giunte in ritardo per partecipare a qualche comune, vi sbagliate: a Varese, 90 mamme hanno firmato una petizione per dichiararsi interessate al progetto. Continuiamo così, facciamoci del male.
9 comments
Bene, meglio vivere e studiare in funzione di un numero sul registro, essere considerati tutti uguali nelle capacità, inclinazioni e metodo di apprendimento, essere costantemente affossati nelle individualità, prontamente rimproverati e quasi mai elogiati, che non ti aiuta minimamente ad inserirti nel mondo reale ma ti considera semplicemente un automa che impara a macchinetta nozioni da libro di testo, dove è l’insegnante ad essere al centro del sistema educativo e non lo studente, e sapere gli affluenti del Po e quanti peli sul culo aveva Innocenzo III nel 2016 con problemi di ordine globale a livello identitario, sociale ed economico!
Questa volta in completo disaccordo con l’articolo.
Ammetto che giungere all’estremo opposto è altrettanto dannoso, ma se l’alternativa è quella in cui sono cresciute le generazioni precedenti Dio ce ne scampi!
Lo dico con anni alle spalle di insegnamento in Australia, il cui sistema scolastico pure critico per molti aspetti, ma di cui ne apprezzo molti altri. E se in Italia finalmente, da come apprendo da questo articolo, si sta svecchiando il sistema in questa direzione ben venga – ripeto, senza necessariamente dover giungere all’estremo opposto come in Australia, che è altrettanto dannoso, ma la famosa “via di mezzo”. Spero si possa giungere ad una buona via di mezzo.
Io invece sono d’accordo con l’articolo, purtroppo o per fortuna il nozionismo serve eccome, a parte che ci stiamo appiattendo in un’ignoranza abissale in puro stile USA, dove in geografia per esempio, non sanno nulla al difuori del loro quartiere di residenza, ma volenti o nolenti non è con il condividere le emozioni che si progetta un aeroplano o si trapianta un organo o si pianifica un’azienda.
Le emozioni oggigiorno sono condivise anche troppo sui social, con le conseguenze che sappiamo… (Oltre al fatto che io, le mie emozioni, le voglio condividere con chi mi pare e non forzatamente con colleghi di scuola che mi possono anche stare sullo stomaco)
Inoltre io, che sono sempre stato valutato per il mio lavoro, posso dire che la valutazione mi ha aiutato a capire dove sbagliavo, dove dovevo approfondire, dove potevo eccellere e assicuro che non ne sono mai stato traumatizzato, anzi meno male che mi sono abituato durante la scuola, perché poi la vita da valutazioni molto più impietose, altro che numeriche!
Al di là di quello il signor Tommaso scrive, non mi risulta che qualcuno mai, a scuola, abbia preteso che si conoscesse il numero dei peli di cui egli scrive. Ma non si sa mai. Forse è capitato a qualcuno di sua conoscenza? Almeno è stato divulgato questo numero? E gli affluenti del po’? Mamma mia che terribile costrizione impararli! Almeno si sa cos’è il Pò e ciò mi incoraggia non poco a non cedere ad un cupo pessimismo. Per il resto sono daccordo, se ho interpretato correttamente. Il compito della scuola dovrebbe essere quello di istruire e di spronare i giovani verso la conoscenza, verso la curiosità per il sapere, a convivere nella societa’ e ahimè a capire che la vita è anche lotta. Se consideriamo dei bambini e degli studenti in salute, i voti che prendono sono solo la conseguenza del’impegno impiegato per studiare. Questi voti non cadono a casaccio dal cielo e i brutti voti non colpiscono a caso le povere vittime innocenti per crear loro complessi di inferiorità. In genere, chi prende 4, sa benissimo il perchè di tal voto. Capisco bene che dal 68 in poi il termine “meritocrazia” è diventato un termine astratto ed ostile, però negare queste semplici evidenze vuol dire che, o non si è ancora capito nulla della vita, o che si è daccordo sulla creazione ed istituzione di un sistema che appiattisca le masse verso il basso, a partire dalle giovanissime generazioni, eliminando qualsiasi possibilità di riscatto sociale per i più poveri e disagiati, che sia basato sulla meritocrazia, a favore, invece, di oligarchie sempre più ristrette e di cerchi magici ben diversi da quello menzionato nell’articolo. Sarebbe infine interessante conoscere l’effettivo livello culturale di chi oggi insegna nelle scuole italiane e di chi, come quelle mamme che hanno firmato la petizione per distruggere i loro figli (che da grandi mangeranno pane e stato d’animo), vuol creare sistemi simili.
Forse una pedagogia emotiva potrebbe anche essere utile, ma a due condizioni: 1) che sia parallela al necessario nozionismo e dunque alla valutazione quantitativa, nozioni che servono non solo a progettare un aeroplano ma anche a costruire una frase sintatticamente compiuta e pertanto a pensare e a comprendere il significato delle emozioni stesse che si provano, altrimenti è solo un rigurgito viscerale; 2) che punti a risolvere i vari problemi emotivi dei più deboli e provati, che purtroppo ci sono, strutturando il carattere secondo virtù necessarie al vivere umano invece che ridursi al mero psicologismo e alla buona alimentazione, e che pertanto intenda le emozioni come qualcosa di veramente poetico, che siano il veicolo interiore verso il trascendentale.
Ovvero, un’educazione classica – né utilitaristica né psicologistica-assistenziale. Questa proposta sembra una pagliacciata da “mamme che vogliono sempre bene ai propri scarrafoni”, almeno da come l’ha presentata Repubblica. Ma bisognerebbe leggere il progetto, che però credo che si installi nello spirito dei tempi…
Il vero problema è che il mondo interiore umano è ormai sterilizzato o alla mercé di psicanalisti, medici ed assistenti sociali che ne fanno sempre e solo un problema.
Sarei sinceramente curiosa di sapere da quanto tempo coloro che hanno scritto finora non frequentino una scuola.
La scuola di oggi sfortunatamente è una scuola sempre più arida e mi spiace immensamente sentire quanto acidi possano essere i commenti nei confronti di una proposta particolare (sicuramente) ma che potrebbe dare il via a una rivoluzione umana nella scuola.
L’intelligenza di un bambino non si misura dalla capacità che ha di imparare tutto il “V Maggio” a memoria, ma dalla capacità di comprenderne il significato.
Agli insegnante invece non frega niente se si è capito il concetto: a cosa mi interessa sapere gli affluenti del Po se sono perfettamente capace di leggere una cartina. Il punto è proprio questo, la scuola dovrebbe fornire degli strumenti non trattarci come hard disk da stivare di sterili (e spesso imbarazzantemente datate) nozioni.
Un 6 si da a due bambini diversi per motivi diversi e credo sia assolutamente giusto spendere il tempo di spiegarne il motivo, invece di liquidare il tutto in un semplice algoritmo matematico di punteggi assegnati a risposte ed esercizi.
Bisogna insegnare l’umanità alle nuove generazioni essere un numero, un elemento di una classe di cui conosco solo il numero sul registro, non serve e non aiuta a crescere.
Con questo vi chiedo solo di riflettere su ciò che pensavate quando tra i banchi di scuola ci stavate voi.
Premetto che non ho scritto e non scrivo adesso con acredine.
Io personalmente stavo molto male a scuola. Il perché è presto detto, anche se col senno di poi: nonostante dovessi scrivere le verifiche “con parole mie”, prendevo sempre dell’inqualificabile perché andavo fuori tema. Semplicemente, provavo ad allargarlo, oppure lo lasciavo aperto. Ma non mi sembra che fossi inqualificabile. Eppure inqualificabile è proprio la mancanza di voto suddetta. Mi ricordo ancora quando, all’ultima verifica in sociologia, ero così sconsolato da scrivere la banalità per cui se ci fosse ancora la tv di Calamandrei un po’ di poesia entrerebbe ancora nelle case (eggrazzie!) giusto per levarmela. Presi 10 per sta ovvietà. Risultato: sentirmi completamente preso in giro. Ed ero alle superiori.
Nonostante si provasse a parlare di un qualche tema attuale collegandolo al programma, il risultato era che eravamo solo io, povero stronzo, e il prof, a parlare di valori umani. Gli altri se ne fregavano, perché semplicemente non sanno cosa sono. I temi centrali erano sempre gli stessi: la scuola oppressiva (è ancora “oppressiva”?), la legalizzazione delle canne (personalmente sono favorevole se fatta in maniera controllata, ma non è certo un tema centrale dell’essere umano o della crescita personale), e ogni occupazione si risolveva in uno skatepark. Ecco cos’era lo spazio al gioco.
Bò… poi mi sono fatto un anno di università e mi sono solo rotto le palle. Almeno al liceo coi prof ci parlavi in faccia, in università manco quello. E vai giù sempre di occupazioni fantozziane. Qui a Bologna, anni fa, rovesciarono per sbaglio una statua del rinascimento frantumandola durante una di queste occupazioni. Quelli di scienze politiche praticamente fremono di fare la rivoluzione senza sapere che significa perché la scambiano per protesta e strida. Ecco…
Ma precedentemente, mi divertivo molto. Alle medie c’erano gli zigani da cui difendersi nei bagni e casi sociali senza cervello che non mi frega niente se lo sono, soprattutto quando non capisco perché non debbano essere puniti quando fanno veramente bullismo coi pugni.
Precedentemente ancora, alle elementari dicevano che disegnavo troppo e che leggere i Dylan Dog mi faceva crescere male. Sangue, sesso, oscurità, mostri, morte, mistero… che roba è quella? Già, poi da grande scoprii che le fiabe antiche erano più o meno così.
Insomma, alla fine avevo sempre dei problemi quando non ne avevo affatto. Ecco perché dico che una iniziativa del genere andrebbe bene, purché sia virtuosa invece che ridursi a psicanalisi assistenziale fai-da-te. E dunque, ci sarebbe da riflettere su cosa siano le virtù, che non sono norme morali, e perché bisognerebbe acquisirle.
Inoltre, nessuno tratta minimamente del senso della vita e dell’esistenza, e cioè nessuno sa gestire la fondamentale angoscia di essere a questo mondo senza sapere il perché, qualora ce ne sia uno. Tema scomodo, ma le posso assicurare che la psicanalisi fai-da-te applicata all’angoscia esistenziale rende i ragazzi ancora più problematici di quello che sono basicamente, dal momento che ficcate in testa loro soluzioni a fantomatici problemi. Che quindi si fanno e adottano. Essa non è tema di medici, psicanalisti ed assistenti sociali. Eppure, per sopprimerla in mancanza di significati filosofici adeguati, i ragazzi si spaccano di canne, pasticche e pere in vena. Perché è insopportabile, quando invece potrebbe, questa vera grande emozione, ben altro, e cioè un barlume di senso che essa stessa va cercando.
Lei è in grado di prendere a mano questa situazione?
Inoltre, sapere dove sta il Po, e non solo il po’, come posizionare sulla linea del tempo alcuni eventi e personaggi fondamentali,è importantissimo perché quando i ragazzi si chiedono cosa perché e dove sono hanno anche bisogno di un luogo in cui abitare. Che non è la casa popolare, non è una questione sociale. E’ una questione d’animo, e di mente in grando di farsi un mondo proprio tessuto di un senso legittimo. Che non può che darlo la storia che si dipana su una geografia. Le nozioni, in sostanza, sono le coordinate spazio-temporali del divenire.
Che senso ha allora, senza nozioni né filosofiche né storiche né geografiche, parlare di temi d’attualità? Saprebbero senza di esse da dove vengono gli emigranti? Saprebbero perché nasce una guerra? Saprebbero che certi macrocomportamenti umani sono strutturati naturalmente per necessità? Anzi, lo sanno oppure no? Oppure per emotività intendiamo solo la sofferenza di quando vediamo un povero negro stracciato e affamato, e che ci passa quando non ci si para più innanzi?
Premesso che i programmi scolastici,ovvero ciò che poi viene trasmesso ed insegnato ai ragazzi è,oggi,di una povertà scandalosa: si è passati da una scuola prettamente nozionistica che non creava, se non per merito di pochi bravi insegnanti,spirito critico e coinvolgimento,comprensione dell’importanza di sapere e conoscere a una scuola che insegna poco,male e (come se non bastasse) che non prepara alla vita che è competizione,che richiede impegno e che riserva più problemi e delusioni se non la si affronta mettendosi in gioco. Perchè la scuola,anche se altamente formativa,deve saper far mettere in gioco gli alunni.Insegnarli a migliorarsi attraverso ciò che apprendono. Questo progetto si rivela fallimentare in partenza e toglie quella responsabilità di “saper insegnare,saper far comprendere” che spetta alla scuola.Una scuola che non ti istruisce ma ti ascolta ti prepara solo a una vita di prozac e sedute dallo psicologo,crea una generazione di sfigati nel dna. Quello che colpisce sono le madri che appoggiano un simile progetto…..pietà!!!
A Filippo Tommaso: seriamente parlando, pregi e difetti della scuola australiana. Sapevo che da parecchio non insegnavano più a scrivere in corsivo, ma questa può essere una minuzia. Se vuole possiamo scambiarci idee riservatamente. Tenga presente che se è stato costruito, come penso, sul modello inglese, siamo di fronte ad un sistema completamente diverso dal nostro. A scanso di equivoci: non sono insegnante, anche se mi interessa il mondo scolastico, se non altro per aver fatto tutto il percorso fino alla laurea. Penso che il compito della scuola sia quello di insegnare a pensare, il nozionismo è la parola con cui sono stati degradati i fatti e la tassonomia una cinquantina d’anni fa (ogni fatto è una nozione, se vogliamo, la tassonomia è utilissima per sintetizzare).
Mah! Anche nei commenti si potrebbe evitare qualche erroruccio…a dimostrazione che la scuola cosiddetta “nozionistica” ha ancora un senso e che l’alternativa produce, come nel caso inglese o americano, perfetti ignoranti. Certo, poi accade che negli USA o nell’Europa del nord si compilino classifiche che vedono primeggiare gli studenti di quei sistemi scolastici, con la credibilità che possiamo immaginare. In ogni caso i principi della pedagogia costruttivistica che muove le nostre straordinarie professoresse-maestrine della Bicocca sono la fine della cultura, che diventa lo strumento per l’acquisizione delle cosiddette “competenze”. Con le competenze si impara a “fare” e si concepisce la teoria solo in funzione del prodotto. Si “fanno” tante cose, in gruppo, coccolati, vezzeggiati, mai traumatizzati, ma intanto si interiorizza la logica del capitale: quello che conta è il prodotto e la sua spendibilità. Il totalitarismo del mercato, si sa, è dolce e ha l’aria accogliente di un centro benessere, sebbene nasconda il dramma spietato della concorrenza all’ultimo sangue. Ecco come vorrebbero che diventasse la scuola: un luogo di promozione di dolcezze che ti ammazzano, o meglio, che ti preparano a diventare un assassino capitalista…che è pronto a morire e a far morire per mezz’ora di manicure!